Karim Franceschi a Passaggi, nella serata di giovedì 23 giugno, per presentare Il Combattente
[vc_separator type=”transparent” position=”center” color=”” border_style=”dashed” width=”” thickness=”” up=”” down=””]Dotato di un carisma naturale che una voce di velluto e un innato senso per l’affabulazione disperdono come un filtro invisibile tra la folla accorsa ad ascoltarlo, Karim Franceschi, classe ’89 partecipa a Passaggi nella serata di giovedì 23 giugno, in conversazione con Lucia Goracci, inviata in Medio Oriente per Rainews, per presentare il suo libro Il combattente, un testo che utilizza il racconto di un’esperienza radicale per riflettere sulla necessità di risemantizzare la lotta partigiana e la difesa dei diritti umani. «Io non sono un guerrafondaio», sottolinea Karim, «non avevo mai tenuto un’arma in mano prima della mia adesione all’esercito di resistenza curda all’Isis, non avevo mai sparato, al massimo nei videogiochi. La mia partecipazione alla battaglia del popolo curdo contro l’oppressione di Daesh è stata dettata dal mio amore per la libertà. È stata la lezione di mio padre, un ex partigiano che ho perso quando avevo 13 anni, ad indicarmi la via». Non a caso il nome di battaglia scelto da Karim è Marcello, quello che fu di suo padre.
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Franceschi, del resto, ha le idee chiare e la sua visione del conflitto non appare annebbiata da alcuna retorica o da alcuna propaganda: «occorre definire i contorni esatti del fenomeno Isis: l’Isis non è altro se non un prodotto di una serie di politiche millenarie che hanno concepito il Medio Oriente come una terra di conquista, una terra da depredare». Sulle ragioni che muovono alcuni giovani stranieri a entrare nelle fila delle armate dell’Isis, Karim non nasconde un profondo, insolubile sbigottimento: «c’è un’ideologia sottorrenea, fascista, che trasforma un impulso umano in qualcosa di inumano. Chi dall’Europa s’unisce all’Isis lo fa perché spinto da un desiderio di autoannientamento, un desiderio di morte». Da protagonista della più importante vittoria contro il jihadismo, la liberazione di Kobane, Karim Franceschi sente di dover testimoniare la grandezza di un popolo, quello curdo, che ha combattuto con strenua volontà per spirito di «autodifesa e autonomia, per un credo di ecologia sociale, l’urgenza di rifondare lo sviluppo economico sottraendolo alle logiche imperanti dello sfruttamento». Ma la Resistenza curda si è rivelata anche un faro per il neo-femminismo e sulle combattenti donne, Franceschi ha parole di grande ammirazione: «alla liberazione di Kobane hanno contribuito moltissime donne, è stata, questa lotta, anche una battaglia in un certo senso femminista, perché tutte queste ragazze che hanno aderito alla resistenza curda l’hanno fatto anche perché, dopo essere cresciute con l’esempio di madri schiave di una mentalità maschilista, hanno trovato in questa rivoluzione un’occasione di emancipazione, di affermazione del loro valore». Ciò non compensa del tutto l’amarezza derivante dalla certezzache la guerra resti un’occasione sciaguratamente privilegiata per incontrare la morte e Karim che, nella guerra all’Isis, ha perso un heval (un compagno e amico) lo sa bene: «vedere da vicino la morte, quello sì cambia tutto».
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Articolo di Carolina Iacucci
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