Il giornalista Massimo Franco conversa con Bruno Manfellotto intorno al suo libro “L’assedio” che analizza le contraddizioni di un continente in crisi d’identità
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Fano, 24 giugno 2016 – Il giornalista Massimo Franco, in conversazione con Bruno Manfellotto, sale sul palco centrale in Piazza XX Settembre per raccontare la sua ultima fatica, L’assedio, un saggio edito da Mondadori che condensa i risultati di una ricerca insolita per l’autore, altrimenti dedito ad occuparsi di Chiesa. Ma in qualche misura, la religione c’entra anche con il tema di questo libro, l’immigrazione. Secondo Franco, l’Europa ha spesso utilizzato in senso strumentale ed ideologico presunte radici cristiane, quando – come istituzione – l’Unione Europea è sorta su un prinicipio di laicità. «Quando Papa Francesco, un Papa molto latino-americano, forse non sempre in sintonia con gli umori profondi del Vecchio Continente, parla di ponti e di accoglienza, ecco, non tiene conto della paura che sta stritolando l’Europa». L’Unione Europea nasce all’indomani della caduta del Muro di Berlino, per esorcizzare lo spettro della possibilità di una coazione a ripetere la dinamica politica della cortina, ma in verità quei muri non sono mai caduti: «spesso si ha la percezione che un muro protegga, con i muri ci sentiamo più sicuri, ma è un’illusione… il muro che crediamo ci metta al riparo dal nemico, in realtà ci separa da noi stessi». Il titolo del libro, L’assedio, è più denso di significati e implicazioni di quanto non si crederebbe: «è una parola matrioska, noi europei ci sentiamo assediati, ma stiamo solo assediando noi stessi». Qual è l’antidoto all’assedio che ci autoaffliggiamo? Il giornalista del Corriere della Sera non ha dubbi: «è una questione solo politica, l’assenza di una visione lungimirante. Il problema migratorio non è di natura emergenziale, ma strutturale: tutti gli analisti più competenti sono concordi nel preconizzare una sua durata di almeno un ventennio. Affrontare l’immigrazione come urgenza è un atteggiamento profondamente miope e pericoloso». I movimenti populisti che, in maniera trasversale, stanno cavalcando l’onda dei timori più irrazionali, intercettano i gangli emozionali più riposti e sensibili all’esasperazione del fenomeno, a un suo rigonfiamento opportunistico. Un appiattimento della riflessione e un precipizio di lucidità che ha prodotto la nascita di quei nazionalismi che l’UE programmaticamente voleva scongiurare e un’ inversione dei rapporti di causa ed effetto tra fenomeni: «gli appelli dell’Italia all’Europa del Nord sono rimasti inascoltati, non si fa squadra di fronte a un problema non del singolo governo, ma della società globale. Purtroppo si è creata un’economia illegale dell’immigrazione, con aspetti criminogeni, che ha alimentato un errato sentimento di rabbia e colpevolezza verso l’immigrato e non verso i responsabili di questi crimini». Un istupidimento collettivo che ha dissodato il terreno ad una fallace persuasione: «Le difficoltà economiche e l’avanzare ormai inarrestabile delle nuove tecnologie nel mercato del lavoro accentuano le difficolta’ del sistema welfare nell’area Euro e dovremmo pensare uno sviluppo senza posti di lavoro per i prossimi anni. Per questo si rende sempre piu’ importante un investimento sull’istruzione e sulla formazione dei giovani. Ma l’Italia sta morendo di furbizia. E sta alimentando l’impressione che studiare non serva, ma istruzione e preparazione servono e serviranno progressivamente sempre più in un contesto globalizzato. Mai collidere con chi semina in giro l’idea che lo studio, l’approfondimento, l’abnegazione siano inutili».
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