La sera di giovedì 28 giugno il palco centrale di Passaggi Festival ha ospitato, insieme al presidente della Coop Alleanza 3.0 Adriano Turrini, il giornalista Attilio Bolzoni che ha presentato il suo libro “Imperi criminali. I beni confiscati alla mafia”. I due hanno intrattenuto una conversazione con il giornalista di Rainews24 Giorgio Santelli. Tra gli ospiti si attendeva anche la fotografa Letizia Battaglia che non è potuta essere presente, ma nel giorno di apertura del festival ha inaugurato la sua mostra Punctum Donna. I tre hanno discusso dei cambiamenti della criminalità  organizzata, dei beni confiscati e di antimafia.

I beni confiscati alla mafia

Il primo a intervenire è stato Adriano Turrini riguardo ai beni confiscati alla mafia affermando che la cosa più importante è sicuramente riutilizzarli bene. Bisognerebbe evitare che attività , che in mano alla mafia sono state produttive, falliscano; per far ciò si deve cercare di creare occupazione. La maggiore forma di schiavismo schiavismo legata alla mafia è indissolubilmente legata al fatto che essa porta lavoro a molte persone, bisogna quindi contrastare questo fenomeno. La Coop cerca di contribuire acquistando prodotti derivanti da beni confiscati alla criminalità  (come quelli di Libera) e soprattutto proponendo nuovi posti di lavoro. Sempre riguardo i beni confiscati, è poi intervenuto Attilio Bolzoni sostenendo che questo settore è caratterizzato, in realtà , da una grande difficoltà  di gestione e soprattutto dalla mancanza di volontà  politica di investire in essi.

La mafia di oggi

Secondo Attilio Bolzoni la mafia è sempre rimasta se stessa. Le stragi che ha compiuto tra gli anni ’80 e ’90 sono state un’anomalia nella strategia mafiosa; attualmente la mafia è tornata ad essere silenziosa e non si vede se non viene cercata. I capi mafiosi sono al momento interessati in particolar modo alla finanza e cercano di creare rapporti con politici locali (non più nazionali), i quali spesso non sono più portavoce di interessi mafiosi, ma veri e propri mafiosi. Al giorno d’oggi l‘Ndrangheta è il leader nel traffico di stupefacenti, ma la mafia più “intelligente” e raffinata rimane quella siciliana. Entrambe hanno contatti e appoggi in paesi stranieri. Prima degli anni ’80 e ’90 i capi mafiosi negavano l’esistenza della mafia, ora che non è più possibile fare ciò (con le stragi la sua presenza è diventata evidente) essi si sono impossessati degli slogan dell’antimafia, banalizzandoli e sfruttandoli a proprio favore.

Antimafia e voglia di cambiare

Per quanto riguarda l’antimafia secondo Bolzoni sono presenti diversi problemi: mafiosi che si infiltrano in essa, associazioni che sfruttano questo nome e prepotenza, ostilità  al dialogo e difficoltà  di riconoscere i propri nemici dell’antimafia sociale. Attilio Bolzoni ha sottolineato come Palermo, a differenza delle altre città  italiane, abbia voglia di combattere e superare la mafia. Questa volontà  deriva dalle ferite subite nel passato e dalla consapevolezza dei cittadini della presenza della mafia nel proprio territorio. La criminalità  organizzata non è però presente solo nell’Italia Meridionale, essa è radicata anche nelle regioni centro-settentrionali che sembrano chiudere gli occhi davanti a questo problema.

Quattro chiacchiere con Attilio Bolzoni

La mafia, come lei racconta nel suo libro, ha cambiato modalità  d’azione. Pensa che cittadini e istituzioni siano coscienti di queste mutazioni? E sono pronti a riconoscere e affrontare il nuovo “metodo mafioso”?
A volte c’è consapevolezza di come stiano cambiando i mondi criminali, altre volte essa manca. La consapevolezza c’è da parte di chi studia la mafia: magistrati, poliziotti, uomini politici. Non bisogna dimenticarsi, però, che tutto questo riguarda anche noi, non solo loro.
Nel fallimento del contrasto all’impero criminale ha giocato più la collusione o l’incompetenza? L’interesse a godere di quei patrimoni illeciti o l’inadeguatezza della classe dirigente?
Giovanni Falcone nel libro “Cose di Cosa Nostra” ha scritto che se si deve fare capo di un ufficio un magistrato bravissimo, uno corrotto o uno coglione, viene scelto sempre quello coglione. Ecco che cos’è la mafia. Incompetenza, distrazione, collusione si mischiano in questa definizione. Un magistrato stupido può essere manovrato a proprio piacere.
Cosa rimane e cosa si può recuperare della grande elaborazione del contrasto alle mafie sviluppata negli anni ’80 e ’90?
Ci è rimasto ben poco. Una legge voluta da Pio La Torre approvata nel settembre del 1983, la legge italiana più importante sulla associazione mafiosa e sulla confisca dei beni. Poi un pacchetto antimafia ideato da Giovanni Falcone quando era direttore generale degli affari penali al ministero di grazia e giustizia nel 1991. Queste sono le uniche due cose veramente innovative. Il problema è che non c’è una strategia complessiva dello Stato italiano nei confronti della lotta al crimine organizzato.
I profondi mutamenti degli equilibri sociali e politici possono essere un’occasione per una svolta decisiva nella lotta alle mafie?
No, perché la mafia è molto più veloce di noi nell’adeguarsi ai cambiamenti e quindi questi la avvantaggiano sempre. Quando la situazione è consolidata possiamo prendere le contromisure.

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