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Il tema di Passaggi Festival 2019 sarà  “C’era una volta in Europa”. L’Unione Europea è di recente fondazione. Nata dal sogno di alcuni pensatori per superare disuguaglianze e divisioni nazionali, ha visto la sua realizzazione grazie al lavoro di uomini e donne forti che si sono battuti per un progetto ambizioso.

Una di queste è Simone Veil, politica francese che è stata la prima presidentessa del Parlamento Europeo. Ha raccontato la sua storia nel libroUna vita”, titolo che ha preso in prestito dallo scrittore Maupassant e che l’Express, settimanale francese, ha definito “inesatto: la ‘sua’ vita non è semplicemente ‘una’, tanto è eccezionale”.

Una famiglia ebrea divisa dalla furia antisemita

Simone Jacob, coniugata in Veil, nacque a Nizza nel 1927 da Andre Jacob e YvonneSteinmetz. Ultima di quattro figli, crebbe in una famiglia molto unita, di religione ebraica ma tendente alla laicità . L’idillio dell’infanzia nizzarda venne in seguito spezzato. In “Una Vita” si legge: “Il destino si è impegnato tanto a ingarbugliare strade che sembravano così ben tracciate, da non lasciare nulla di quella gioia di vivere. Per noi come per tante famiglie ebree francesi, la morte ha colpito all’improvviso e con forza”.

Il padre e il fratello Jean partirono per Kaunas, un porto lituano occupato da tedeschi, e di loro non si ebbero più notizie. La sorella Denise finì nel campo di concentramento di Ravesbruck e la rincontrano solo in seguito. Simone fu deportata con la madre e la sorella Miloù ad Auscwitz-Birkenau dove rimasero dall’aprile 1944 al gennaio 1945.

La madre morì di tifo contratto nel campo. Miloù, nonostante il contagio, sopravvisse e continuò a vivere una vita dignitosa da sposa e madre, spezzata da un terribile incidente in auto.

Il ritorno alla vita e il desiderio di una vera professione

Dopo l’uscita dal campo di concentramento e sterminio, per Simone ci fu un ritorno alla vita. Si iscrisse all’Istituto di Studi Politici di Parigi con il sogno di diventare avvocato. “Per me come per mia madre, una donna che ne ha la possibilità  deve studiare e lavorare, anche se il marito non è d’accordo. Ne va della sua libertà  e della sua indipendenza”.

Durante gli studi conobbe il futuro marito, Antone Veil da cui ha avuto tre figli. La sua carriera di avvocato non si realizzò a causa della contrarietà  del marito per tale mestiere, ma poté ripiegare sulla magistratura. Venne assunta alla direzione dell’amministrazione penitenziarie. Per sette anni si occupò dello stato delle carceri, soprattutto quelle femminili, per evitare soprusi ed umiliazioni contro le detenute.

Fu spedita anche in Algeria per documentare la situazione dei prigionieri, che vivevano in condizioni pietose. Ottenne la possibilità  di portarli in Francia e riabilitarli, permettendo loro di proseguire gli studi con la convinzione che le prigioni dovevano riformare i detenuti, non solo punirli.

Simone Veil, l’ascesa al governo

Iniziò la sua esperienza al governo occupandosi di Atti Civili. Su richiesta del presidente della Repubblica George Pompidou, Simone Veil entrò nei consigli d’amministrazione di soli uomini che si occupavano dello stato francese e della sua rappresentanza in radio e televisione.

Durante il mandato di Gerard d’Estaing, succeduto a Pompidou, Simone venne scelta come Ministro della Sanità  sia sotto il governo di Chirac che di Barré. Rivestendo questo ruolo, poté occuparsi della problematica dell’aborto e della sua legalizzazione: “Il mio compito – rimarca Simone Veil nella sua biografia – era appesantito dal fatto che la categoria dei medici faceva fatica ad accettarmi. […] Per un ambiente fortemente conservatore, io avevo il triplice difetto di essere donna, di essere favorevole alla legalizzazione dell’aborto e, infine, di essere ebrea. […] Credo proprio che se avessero potuto assassinarmi lo avrebbero fatto.

Simone Veil, la prima presidentessa del Parlamento Europeo

Già  da semplice sposa, assieme al marito era a favore di un’unificazione delle nazioni, nonostante la guerra appena terminata. Scrive nel suo libro: “Eravamo entrambi dei convinti europeisti . Ne eravamo certi: se i vincitori del 1945 non avessero compiuto una riconciliazione rapida e totale con la Germania, le ferite di un’Europa già  lacerata tra Est e Ovest non si sarebbero mai cicatrizzate e il mondo si sarebbe avviato verso un nuovo conflitto ancora più devastante dei precedenti.”

Così quando il presidente Giscard d’Estaing le propose la candidatura alle elezioni europee, diede la massima disponibilità . “Giscard ha sempre adorato i simboli che colpiscono l’immaginazione. Che un’ex deportata diventasse la prima presidentessa del nuovo Parlamento gli sembrava di buon augurio per l’avvenire”.

Venne eletta a metà  luglio del 1979 e rimase in carica fino al 1982 per poi essere rieletta nel 1984. Nel suo primo discorso, tenutosi a Strasburgo, cercò di evidenziare le tre sfide principali: quella della pace, quella della libertà  e quella del progresso sociale.

Il paradosso: siamo meno europeo oggi di ieri

Nel suo libro vi è un’interessante riflessione sulle possibilità  di un’Europa unita.
Negli anni Ottanta, quando sono arrivata al Parlamento europeo, immaginavo ancora un’evoluzione verso un sistema di tipo federalista. Oggi, sia perché siamo più numerosi, sia perché le mentalità  sono cambiata, non posso che constatare un attaccamento crescente della popolazione alla propria sfera nazionale e a fattori storici che hanno formato particolari identità . […]

Viviamo in un paradosso: l’europeo di oggi viaggia molto, l’euro è diventato una realtà  di cui molti sono soddisfatti, internet è entrato nei costumi e la dimensione della globalizzazione domina il pensiero contemporaneo.

Ciononostante, le persone sembrano molto più attaccate alla loro identità  nazionale di quanto non fossero vent’anni fa, al punto che ovunque si sviluppano tentativi autonomisti. […] Ognuno cerca le proprie radici.

Per tutte queste ragioni, se io vent’anni fa pensavo che saremmo giunti a superare i confini nazionali, oggi non ne sono così convinta, e l’idea che ho adesso dell’Unione Europea somiglia più a una serie di matrioske che ad un edificio monolitico.”

Gli ultimi anni di Simone Veil

Alla fine del mandato europeo ritornò alla vita politica francese, svolgendo numerosi incarichi fino al suo ritiro dalla vita pubblica nel 2013. Tra questi, la presidenza di una fondazione dedicata alla memoria della Shoah istituita dal governo francese. È morta a Parigi il 30 giugno 2017. L’anno successivo il presidente Macron, su volere di numerosi esponenti politici, decise di trasferire la sua salma e quella del marito Pantheon, un tempio laico con grandi personalità  francesi.

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