Nella prima giornata della dodicesima edizione di Passaggi Festival, ospite al Chiostro delle Benedettine per la rassegna “Storia e Storie” è Mauro Canali, che presenta il suo ultimo libro “Il delitto Matteotti”, edito da Il Mulino. L’autore conversa con Marco Labbate, storico della ISCOP Pesaro, e Dino Zacchilli, rappresentante del Circolo Sandro Pertini di Fano.
Un giovane benestante alla scoperta di una nuova via per arrivare al socialismo
In questo libro Canale ci racconta la storia e l’evoluzione della figura di Giacomo Matteotti, sicuramente una persona chiave all’interno della politica italiana negli Anni Venti. Matteotti è un giovane borghese benestante, che sin da giovane ha tracciato un preciso programma, scontrandosi con Mussolini, già da quando costui era diventato capo del governo fascista. L’obiettivo di Matteotti era migliorare le condizioni economiche e di vita della povera gente, proponeva la via giusta per arrivare al socialismo. Ciò che voleva attuare non corrispondeva alle classiche idee astratte del comunismo ma ad un qualcosa di più concreto. La solitudine è stata la sua compagna di vita, la base su cui si è innestata la sua macchina del fallo, che lo ha portato al sacrificio.
L’interesse verso il Polesine, zona arretrata
Apparentemente potrebbe sembrare un personaggio lineare, ma nel profondo si possono vedere i conflitti che animano la personalità di Matteotti. Importante per lui è stato il fratello Matteo, anche lui impegnato, come Giacomo, nel Partito Socialista Italiano. La zona dove vive, nel Polesine, è perennemente disastrata, causa anche le continue inondazioni del Po; poche erano le persone nobili e ricche in quella zona, c’erano invece tanti braccianti. Durante il Biennio Rosso Matteotti, che era già in Parlamento, tornava costantemente nel Polesine per prendersi cura delle classi agrarie povere, combattendo al loro fianco e cercando di mettere in atto progressi concreti.
Mondo dei braccianti, riformismo, antimilitarismo: le posizioni di Matteotti
Sin dai primi anni Matteotti fu preso di mira in Parlamento. Lui era un antimilitarista radicale, anche in guerra, faceva parte della componente riformista di Turati nel partito socialista. Tuttavia era un riformista coerente: le sue riforme erano di sostanza, strutturali, non potevano rafforzare il capitalismo. Faceva parte del riformismo, ma non abbandonò mai la parte rivoluzionaria del socialismo. A causa del suo antimilitarismo, venne punito con il confino in Sicilia. In sostanza era un uomo politico sommo ma molto popolare e legato alle masse. Durante le elezioni politiche ricevette parecchi consensi tra i socialisti dalla gente delle classi sociali meno agiate. Il primo scontro con Mussolini avvenne in un congresso nazionale: oggetto di contrasto era la doppia iscrizione ad un partito, compatibile per Matteotti ma non legale per Mussolini. Matteotti abbandonò le posizioni familiari per immergersi nel mondo dei braccianti, era un leader plasmato attraverso i rapporti con le classi povere, frequentando quegli ambienti.
Denunce precise al fascismo
La precisione nelle denunce e nelle letture dei bilanci ai compagni socialisti caratterizzava Matteotti. Si poteva notare benissimo nei suoi discorsi, anche in quelli precedenti al 30 maggio1924. Matteotti era sempre nel mirino del fascismo: aveva già subito alcuni tentativi di violenza squadrista. Aveva inquadrato in profondità alcune problematiche irreversibili legate al fascismo, dall’inizio del governo Mussolini. Lo stesso fatto che, con soli 35 deputati rappresentanti il Partito Nazionale Fascista in Parlamento ed una netta minoranza, le camice nere marciarono su Roma non poteva essere qualcosa di normale. Contestò anche la legge Acerbo, uno strumento creato appositamente da Mussolini per avere una solida maggioranza. Denunciò il sistema delle corporazioni (locali, politiche, sociali). Contestò anche l’uso della violenza come mezzo per la conquista del potere. Inoltre, intuì la chiara strategia del fascismo di attirare a sé i ceti medi mentre il vecchio socialismo era sempre più spaccato in diverse componenti. Per questa ragione una risposta alla marcia su Roma fu troppo lenta e, soprattutto, inefficace.
Il coraggio di parlare per l’Italia
Il Parlamento era occupato per due terzi dai fascisti o dai fascistizzati, e l’ultimo terzo era diviso tra le forze di opposizione, disgregate. Matteotti parlava e denunciava da Segretario delle forze di minoranza non unite; si rivolgeva non al Parlamento, ma al Paese. Il fascismo puntava al poter con la forza ma non la forza razionale, bensì quella aggressiva. Matteotti denunciò anche l’affarismo, che muoveva tutta la politica fascista: una questione fu quella petrolifera, con le risorse del sottosuolo dell’Emilia Romagna e della Sicilia cedute alle compagnie straniere.
Una morte precoce e violenta
L’attentato che costò la vita a Matteotti avvenne il 10 giugno 1924, poco tempo prima di un suo discorso che avrebbe dovuto tenere in parlamento. Era da sempre considerato un nemico del fascismo. Mussolini volutamente aveva preparato un gruppo di assassini, la polizia segreta, per pedinarlo e sequestrarlo. Lo stesso Mussolini si prese successivamente la responsabilità dell’uccisione di Matteotti: il 3 gennaio 1925. Un’enorme massa di documenti passò tra le mani dei magistrati, onesti ma non in grado di colpire direttamente la figura di Mussolini, per via di una norma dello Statuto Albertino. Nonostante ciò i documenti denunciavano tutto l’ambiente che circolava intorno al Duce. Nei tanti viaggi che fece, Matteotti riferì sempre la reale situazione italiana. In particolare si confrontò a Londra con il partito dei laburisti, affini al socialismo e per la prima volta al governo. In particolare riportò che:
“La politica del fascismo in Italia è fondata su accordi che sono dominati dalla corruzione”.