Sarajevo Progetto Refest Carolina Rondina

Sarajevo. Carolina Rondina (la seconda da sin.) insieme ad altri partecipanti del progetto Refest

A Sarajevo, il 25 gennaio 2019, si è tenuto l’ultimo incontro del progetto Refest – Immagini e parole sui percorsi dei rifugiati, che ha visto la partecipazione di Carolina Rondina, responsabile del progetto per l’associazione Passaggi Cultura.

Per descrivere l’importanza del progetto e la magia di una città come Sarajevo non basterebbero neppure 1 milione di parole, ma ho provato a riassumere le suggestioni di Carolina ed il ricordo di una città che non può non lasciare nel visitatore un senso di avvolgente malinconia che, chiunque abbia visto Sarajevo, si porta sempre dietro, non come un fardello ma come una consapevolezza.

Cos’è Refest?

Il progetto Refest – Immagini e parole sui percorsi dei rifugiati è un progetto co-finanziato dal’Unione Europea, all’interno del programma Europa Creativa, che ha lo scopo di raccontare, attraverso le parole e le immagini di 32 artisti di diverse discipline, le storie di vita ed i percorsi dei rifugiati.

Il progetto è promosso da quattro associazioni attive nell’ambito culturale nel proprio paese: Passaggi Cultura per l’ItaliaFondazione Montemadrid di Madrid per la SpagnaOrgan Vida di Zagabria per la CroaziaUrban di Sarajevo per la Bosnia.

A Sarajevo si è tenuto l’ultimo incontro tra i responsabili del progetto e Carolina Rondina ce lo ha raccontato così: “Sarajevo ci ha accolti vestita completamente di bianco, in un’atmosfera incredibilmente calma e meravigliosa, fuori dal tempo e quasi surreale. È stato un meeting molto tranquillo, abbiamo tratto conclusioni e raccolto i pareri di tutti su ciò che è stato fatto in questi due anni di progetto.

“Abbiamo ripercorso insieme ogni step e ci siamo resi conto, visitando la mostra conclusiva installata dall’associazione Urban presso la galleria d’arte della Bosnia Erzegovina, del forte impatto che il lavoro degli artisti ha avuto non solo sull’audience, ma anche su di noi che abbiamo lavorato al progetto.

“Nonostante questo sia stato l’ultimo meeting, il lavoro non è ancora del tutto concluso: ultimeremo lavorando in sincrono da remoto un catalogo online dedicato alle opere create durante Refest, per permettere a tutti di avere libero accesso, in qualunque momento, a dei lavori legati ad un tema, quello di rifugiati e migranti, che oggi più che mai ha una grandissima rilevanza, non solo sociale, ma anche e soprattutto umana”.

Sarajevo è la sua storia

Negli ultimi anni Sarajevo sta suscitando sempre di più l’interesse di turisti provenienti da tutto il mondo. In questa particolare città, che dalla valle in cui è incastonata si arrampica voracemente sulle colline circostanti, appare evidente come l’accoglienza, l’integrazione e la memoria costituiscano dei valori imprescindibili.

Questo è l’incredibile riscatto di una città che è stata teatro del più lungo assedio nella storia bellica del secondo dopoguerra – durato dal 1992 al 1996- e vittima di un doloroso e violento conflitto. A Sarajevo il legame che c’è tra la quotidianità e la storia è tanto forte e viscerale che questa non va neppure indagata o ricercata perché è Lei a palesarsi violentemente, che tu lo voglia o no.

E così la lapide di una donna scomparsa durante l’assedio è lì ad aspettarti tra un pub e l’ingresso del tuo Air B&B; così un tassista ti racconta di quando ha percorso quel tunnel -scavato nel 1993 dagli assediati bosniaci per collegare la città circondata dalle forze serbe al territorio circostante- che tu stai andando a visitare, e due attimi dopo ti parla degli Illiri come se lo riguardassero tanto quanto quel tunnel, perché effettivamente lui sa bene che gli Illiri lo riguardano tanto quanto quel tunnel.

A Sarajevo si ha l’impressione che chiunque abbia ben presente la storia e che essa sia trattata alla stregua di un bene prezioso.

Perché Sarajevo?

Quale città, pertanto, potrebbe essere meglio di Sarajevo nel farci riflettere su cosa significhi ricordare per poter comprendere? Conoscere le storie di vita, sofferenza e speranza di chi fugge diventa fondamentale per combattere il pericoloso processo di spersonalizzazione di migranti e rifugiati in atto e, soprattutto, per capire che la diversità, lo scambio e l’interculturalità sono doni preziosi dai quali ripartire.

E questo una città come Sarajevo lo sa bene. “Sarajevo – ci racconta Carolina Rondina – riesce a trasmetterti sensazioni sempre diverse, dipende dall’angolo che ti soffermi a guardare. È una città che, nonostante le differenze siano state alla base del suo conflitto più grande, le ha fissate dritto negli occhi, le ha assorbite e poi le ha integrate completamente in un’unica grande arteria pulsante, incredibilmente viva. Sarajevo è la città dei contrasti, ma non più quella dei conflitti.

“È come la Sevdah, suona una melodia allegra, piena di passione, ma è sempre struggente come gli amori impossibili che raccontano i testi delle canzoni. Non esiste città migliore per un ultimo incontro, uno di quei contesti che sanno così insistentemente di un lungo saluto sospeso nell’aria. La leggenda narra che, chiunque beva dalla Baščaršija tornerà a Sarajevo…ed è così che mi piace pensarla.”

CONDIVIDI!