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Dalla personalità decisa, graffiante ed instancabilmente curiosa, Miles Davis è sempre stato in costante movimento. Seguendo il ritmo incalzante della sua mente creativa, chi si prende del tempo per ascoltare la sua storia, ottiene il ritratto di un uomo spesso incurante delle norme di una società “perbenista”, qualcuno di irriverente capace al contempo di toccarti l’anima con una sola nota.

Nella ricerca ostinata di una propria verità, mai stanco di sperimentare, sconfina poi in terreni lontani dal proprio stile originale nel tentativo di mantenersi al passo coi tempi nella seconda parte della sua carriera musicale, finendo così per diventare una figura controversa nella storia del jazz.

Nonostante ciò, la sua è una musica sincera. Una dote non trascurabile per chi si dedica al genere musicale più onesto e democratico per eccellenza.

Chiunque tenda volenteroso l’orecchio a questi scambi musicali infatti, si accorge senza fatica che si tratta semplicemente di un racconto dell’umanità, un dialogo tra persone che si ascoltano mentre esprimono i propri sentimenti e le proprie idee riguardo alla vita, ed è per questo che si tratta di un linguaggio vero che tutti possono comprendere.

Un inizio memorabile

Miles nasce il 26 maggio del 1926 da una famiglia agiata afro-americana e trascorre la giovinezza a Saint Louis, nello stato dell’Illinois. Incoraggiato dall’amore per la musica dei genitori, a tredici anni riceve una tromba per il compleanno e da quel momento non se ne separa fino alla morte.

Mio padre è ricco, mia mamma è bella. OK? E io so suonare il Blues. Non ho mai sofferto e non intendo soffrire”, dice appunto di sé facendo riferimento al testo del celebre standard jazz “Summertime”.

Trasferitosi a New York per studiare musica (prevalentemente classica) alla prestigiosa Juilliard School of Music, si scopre in realtà molto più interessato alla vivace vita notturna del panorama jazz dell’epoca, dove si lascia inghiottire dalla frenesia di lunghe jam session. Parker, Gillespie e Monk diventano così un valido motivo per cui lasciare gli studi e dare inizio alla propria carriera.

Nella seconda metà degli anni ‘50 crea il memorabile sestetto con John Coltrane e Cannonball Adderley.

È a questo periodo che risalgono i grandi classici a partire dagli album con la casa discografica Prestige fino ai dischi orchestrali come Miles Ahead, Porgy and Bess e Sketches of Spain.

Il suo spirito innovatore, lo porta poi alla creazione dell’album The birth of the cool, punto di partenza del cosiddetto stile cool jazz e al capolavoro per cui è universalmente noto: Kind of Blue, che rivoluziona il jazz dell’epoca e influenza quello successivo, grazie alle sperimentazioni con la musica modale.

Nel 1964 nasce inoltre, un eccezionale quartetto formato da Herbie Hancock, Tony Williams, Ron Carter e Wayne Shorter, in cui Miles dimostra ancora una volta grande apertura mentale e fiuto per i nuovi talenti che lo porta a scegliere di suonare con musicisti in questo caso molto più giovani di lui.

Non una leggenda passata, ma qualcuno che sta ancora facendo

L’onere di una famiglia a carico non riesce comunque a fare di lui un classico padre di famiglia dalla vita tranquilla. Ritrovatosi con dei figli ad una giovane età, non volle rinunciare alle possibilità che offre una carriera artistica.

La sua avventura, tra le altre cose, è segnata dalla dipendenza dalle droghe causa di forti instabilità emotive e di ricadute, che lo portano ad allontanarsi dalla scena per sei lunghi anni nel 1975.

Ma proprio quando nessuno ci spera più, Miles riprende la sua tromba e si avvicina a sonorità moderne tra cui il rock, il funk, il pop e l’elettronica. Fedele alla sua indole di sperimentatore e indifferente alle critiche chiede al pubblico di non continuare ad apprezzarlo soltanto per Kind of Blue ma: “per quello che sto facendo ora”.

Ed è proprio la versione pop di Davis, l’ultima che il mondo vede prima che la polmonite lo uccida nel 1991 all’età di sessantacinque anni.

L’eredità che ci lascia, è grande non solo in termini di musica ma anche umani in quanto le sue sonorità profonde si sono spesso intrecciate anche con quelle della musica bianca.

Sebbene vittima di ingiustizie e sostenitore delle lotte contro la segregazione razziale, Miles non si è mai rifiutato di collaborare con musicisti bianchi e di prendere persino ispirazione da questi, incarnando così alla perfezione l’ideale jazz.

Se la storia di questo genere, è strettamente legata a quella della segregazione, la musica in sé è invece universale perché parla di umanità e affronta temi estranei al concetto di razza.


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