Ad inaugurare la seconda giornata di Passaggi Festival per la rassegna “Buongiorno Passaggi. Libri a colazione” è Lidia Pupilli con il suo libro “Pioniere. Storie di italiane che hanno aperto nuove frontiere” (Aras Edizioni). Una collezione di storie di donne “pioniere”, appartenenti a mondi ed età diverse, unite però da un tratto comune: hanno saputo portare temi legati alla condizione femminile agli occhi di tutti.
Non si tratta di racconti biografici in senso stretto, ma delle storie di vita di sei donne assolutamente nel loro contesto. Storie che coprono un arco temporale molto lungo, dalla fine dell’ottocento fin quasi ai giorni nostri. Un libro corale dunque: le vite e le conquiste di queste iconiche figure femminili. A dialogare con l’autrice, la giornalista Silvia Sinibaldi e Marco Severini, docente di Storia presso l’Università di Macerata.
Conquiste marchigiane
Il contesto italiano del primo novecento fu molto vivo, attivo ed estremamente positivo per i movimenti femminili, che spesso riuscirono a raggiungere i loro obiettivi per via giudiziaria.
Numerose e significative sono le storie che vedono come protagoniste donne marchigiane. In ambito delle lotte per l’acquisizione del voto e della cittadinanza ricordiamo le prime dieci elettrici della storia italiana ed europea, le quali chiesero ed in seguito ottennero l’iscrizione a liste elettorali politiche. Si trattava di dieci maestre di Senigallia e di Montemarciano (in provincia di Ancona). Purtroppo però in età giolittiana le dieci maestre non poterono mettere in atto il loro diritto appena conquistato. Si dovrà aspettare il 1860, alle votazioni per l’annessione alla compagine sabauda (dunque in ambito di plebisciti). In questa occasione per la prima volta poté votare una donna.
Ancora nelle Marche un’altra grande conquista: nel 1946 nel sud delle marche, in provincia di Fermo, a Massa Fermana venne scelta come prima cittadina una donna.
In ultimo: la prima avvocata donna Isa Comani era di Ancona. Si è voluto sottolineare quanto per le donne sia stato particolarmente difficoltoso arrivare ad avere un ruolo nel settore giuridico (soprattutto se sposate e sottoposte all’autorità del marito).
Disuguaglianze che persistono
Nel corso della storia per le donne è stato difficile accedere a professioni specifiche, sono state combattute vere e proprie battaglie giudiziarie e sociali, ma purtroppo il problema è ancora ben lungi dall’essere risolto. Nel XI secolo rimane il triste problema della prevaricazione degli uomini. Una problematica che certo non si limita solo a certi settori. Non è giusto che nel 2021 una donna debba decidere se dedicarsi alla famiglia o alla carriera, si devono poter conciliare vita privata e vita lavorativa. Per questo motivo dunque è importante costruire un percorso di recupero della figura femminile che deve passare obbligatoriamente tramite tutte le discipline e che illustri le difficoltà attraversate nel corso di secoli di lotte e conquiste. Questo profondo gap generato dalle disuguaglianze di genere deve essere colmato.
Lidia Pupilli e Marco Severini, ben consci della portata di un tale problematica, hanno per questo introdotto una novità rilevante: propongono l’insegnamento della storia delle donne all’interno degli Atenei. Il tutto partirà da Macerata e speriamo che sarà presto emulato dagli altri Atenei. Una riqualificazione del ruolo politico e sociale della donna e, soprattutto, delle donne che hanno reso grande l’Italia, può avvenire solo in virtù dello studio, del racconto della loro storia.
La strada non è tanto quella delle quote rosa, quanto quella della cultura, dello studio e dell’informazione.
La sindaca o il sindaco? La grammatica che fa discutere
“Andare a ritroso sulle storie delle donne significa capire quanto esse hanno inciso, quanto hanno contribuito al benessere della quotidianità di oggi. L’idea di definirsi al femminile significa riconoscere che ci sono state delle pioniere che hanno lottato tantissimo, è un riconoscimento a coloro che oggi ci permettono di percorrere delle strade che per decenni sono state sbarrate”. Così affermano entrambi gli autori, battendo su una questione che più volte ha generato polemiche: l’utilizzo al femminile di nomi in origine maschili.
Seppure grammaticalmente scorretto, utilizzare nomi femminili per mestieri quali l’avvocata, la sindaca e così via significa riconosce l’importanza delle lotte affrontate.
Come tutte le lingue anche quella italiana è in continua evoluzione e declinare al femminile vocaboli maschili significa anche accettare e sostenere un cambiamento lento ma graduale.
La questione della parità di genere non è una questione delle sole donne, riguarda l’intera democrazia.
Dobbiamo affrontare di petto le esigenze del vivere comune, cominciando dal superarne una, quella della misoginia.