I’m on fire
di Tom Kuka
“Riesci a trovare la strada fino all’hotel?” mi chiese Giovanni.
“Non preoccuparti. Tutti trovano la strada a Fano”.
Sorrise di nuovo e si avviò.
“Tom, ci vedremo domani?”
“Non lo so, dipende, quando ti svegli”.
Mi fece segno con la mano e andò via, lasciandosi alle spalle una voluta di fumo bianco. Mi prese la nostalgia di Fano. Che strano! Ancora non avevo lasciato quel posto e già la tristezza mi opprimeva il petto. Forse era stato il bicchiere di anice che Giovanni aveva offerto alla fine. Era orgoglioso dell’anice. Non gli piaceva che Fano venisse lodata, perché temeva lo considerassimo presuntuoso, perciò si vantava della bevanda. Rilasciò le parole come il fumo bianco alle sue spalle, in modo che svanissero nell’oscurità della notte.
La radio del telefono mi sparò nelle orecchie “I’m on fire”. Fano dormiva. Mi ficco le mani in tasca. Devo essere felice. Sono qui solo soletto, io e San Francesco.
“I’m on fire” mi fece controllare se nelle scarpe mi entrasse dell’acqua. Quel giorno a Scutari avevo i piedi bagnati. Aspettavo in un parco buio che lei uscisse, venisse, mi si gettasse al collo; ma non accadde.
Piovigginava ed ero fradicio. Dovevo restare o andarmene? Spesso l’uomo si prende con le buone, si lusinga, cerca di convincersi che non lo vuole nessuno, a parte se stesso. Ecco, lei non viene e nella tua testa c’è “I’m on fire”. Forse neppure tu vuoi che venga, perché hai bisogno di sentirti solo, peggio ancora ti sentirai abbandonato. Ti serve una ragione per scrivere, perché qualcuno ti ha convinto che gli scrittori sono tali solo quando soffrono.
Ecco, lei non scende, allora tu stai soffrendo, o no?
Ecco, lei non sta arrivando e tu stai soffrendo, perché sei bagnato, o no?
Ecco, lei non è venuta e tu sei solo. La solitudine è sofferenza, oppure no?
Ecco, lei non viene, perché forse non sa neppure che la stai aspettando. La sofferenza è il non detto, oppure no?
Siediti quindi, e scrivi, perché stai soffrendo.
Ti volti subito e vai in quella stanzetta del convitto dove, insieme a te, ci sono anche altri sette con cui passi la notte. Appena ti fai vedere sulla porta, non ti fanno domande. Ce l’hai scritto in fronte il tuo dolore. Prendi il blocchetto e inizi a scrivere, perché stai soffrendo. Un caos di parole, una tempesta di emozioni, un trattato vespertino sulla fatalità, perché vuoi diventare scrittore, uomo sofferente.
Avevo preso in prestito una radio portatile e ascoltavo assorto “I’m on fire”, ma la radio è perfida e la canzone finisce. Non puoi farla ripartire dall’inizio, sei condannato a tenerla a mente. Non devi dimenticarla, così come non devi dimenticare di dover diventare uno scrittore, perciò scrivi parole, racconti, frammenti di romanzi che non verranno mai pubblicati ma, intanto, non smetti di pensare alla gloria. Quando arrivi a un certo livello e parli, gli altri ti guardano con compassione. Hanno letto i tuoi libri e colei che non è venuta da te nel parco, di notte, sotto la pioggia a catinelle, se ne pentirà. Salirà sulla scena allestita nella chiesa di San Francesco e ti si getterà al collo. Forse ti bacerà sulle labbra, mentre i tuoi lettori batteranno forte le mani, anzi, a una bellissima ragazza scenderà anche una lacrima d’invidia.
Vedo tutto questo film e per poco non piango anche io. Mi portano al tavolo un piatto di fagioli insieme a un bicchiere di raki. Sono seduto di fronte a un’ambulanza. Per essere sofferente ho bevuto molto in questo periodo e non ho proprio mangiato. L’uomo deve pur mangiare qualcosa per vivere e compiere l’opera di scrittura, deve bere perché si compia la sofferenza. Ho fretta, perché ho bisogno di scrivere. I fagioli non mi piacciono freddi. Radio Tirana diffonde nell’etere “I’m on fire”. Mi è rimasto il cucchiaio in mano.
Inizio a scrivere di nuovo. I compagni si lamentano perché ho occupato l’unico tavolo e non hanno un posto per studiare. Li insulto pesantemente. Gli scrittori insultano sempre così:
“Hai letto Donne di Bukowski tu, disgraziato?”
“No!”
“Allora non dire cazzate!”
Continuo a scrivere, mentre fuori è cominciato a piovere come sempre. Se ne va la luce, ma accendo una candela e scrivo. Anche Hugo scriveva a lume di candela. Mi sento importante. I miei personaggi si muovono nelle pagine, come me, quando sono ubriaco di raki misto a urea. Sto scrivendo di una chiesa che vogliono edificare, ma gli operai muoiono a uno a uno, come se la chiesa maledicesse piuttosto che benedire; una schiera di profughi passa e vuole scappare lontano da lì, da dove ti rinnega pure il luogo sacro. Proprio in quell’istante mi appare davanti un ingegnere che si chiama Tom Kuka. È accaduto un miracolo…
“Tom, ci vediamo domani?” mi chiese Giovanni.
Non so cosa succederà domani. Alzo il volume della radio. I’m on fire.
TOM KUKA, alias Enkel Demi, è un popolare giornalista e conduttore radiofonico albanese, oltre che scrittore pluripremiato in Albania. Ha all’attivo la pubblicazione di quattro libri tutti di successo e alcuni tradotti in altre lingue. Besa Muci nel 2021 ha pubblicato l’edizione italiana del romanzo L’Ora del male, vincitore in Albania del Premio Nazionale per la Letteratura 2019. Nel 2021 ha vinto con il romanzo Flama il Premio dell’Unione Europea per la Letteratura.
(La pubblicazione del racconto è possibile per gentile concessione dell’Autore)