Conversando con l’esperta di Comunicazione Fiamma Goretti e l’esperto di performance marketing & Al Paolo Dello Vicario, Paolo Benanti ha presentato a Passaggi Festival il suo nuovo libro, “Human in the loop. Decisioni umane e intelligenze artificiali”, edito da Mondadori Università. Un saggio sul progresso tecnologico, sul senso dell’essere umani e sul tentativo dell’uomo di diventare onnipotente.
L’intelligenza artificiale
L’esperto di tecnologia ha iniziato il dibattito definendo il concetto di intelligenza artificiale come l’eco di un nostro sogno, fatto di speranze e timori. Le prime macchine con comportamenti intelligenti, “sapiens”, iniziarono ad essere prodotte negli anni ’50; in particolare, la prima fu un topolino meccanico. Ad oggi sono stati fatti molti passi avanti, ma lo scopo di queste macchine rimane lo stesso, ovvero quello di sostituire l’uomo. Vengono addestrate per ubbidire a determinate programmazioni, ma, come è naturale che sia, hanno dei limiti. Possiamo affidarci ad esse per compiti pratici e di basso rischio, ma lo scenario si complica quando entra in gioco la coscienza umana, della quale tali apparati sono privi. É quindi necessaria una traduzione dal linguaggio umano a quello delle macchine, che lavorano tramite dati accumulati nel tempo. Il problema che si pone a questo punto è il seguente: quanto possiamo decidere del futuro basandoci sul passato?
Il “dual use”
Fin dalla preistoria, l’uomo si è sempre trovato di fronte a situazioni in cui tutto sarebbe potuto diventare un potenziale rischio. Difatti, la tecnologia non è di certo il primo che l’umanità si trova a fronteggiare. A questo proposito, Benanti ha voluto tranquillizzare il pubblico affermando che, nonostante ci siano pericoli oggettivi, non dobbiamo temere di certo un’apocalisse. Le macchine hanno un problema, insito nel paradosso di Moravec: eseguono meglio i compiti alti dal punto di vista cognitivo piuttosto che quelli bassi. Ciò significa che l’automatizzazione avverrà prima nei settori più ricchi. L’effetto da temere è quindi quello di un cambiamento sociale, della fine della classe media, dovuta alla delegazione di decisioni che prima spettavano all’uomo. Un argomento su cui si è concentrato Paolo Dello Vicario, invece, è quello dei dati e del loro uso distorto. Essi hanno un grande potere: possono influenzare le scelte e il futuro di milioni di persone, innestando meccanismi predittivi e producendo un forte impatto sull’economia e non solo. É di conseguenza necessario che vengano raccolti ed utilizzati in modo corretto e consapevole.
L’etica delle tecnologie: filosofia e giustizia
Una questione più filosofica è quella che riguarda l’etica, lo strato di civiltà di un popolo. Da Aristotele in poi, questo concetto si fa equivalere a tutte quelle che sono le virtù non scritte. Nell’ambito delle tecnologie, corrisponde all’etica normativa, che è ciò che spaventa l’uomo. Ogni artefatto tecnologico è una forma d’ordine, una sorta di trasposizione del potere che ci fa sentire in trappola. L’uomo sente la necessità di controllare le macchine, affinché esse continuino a percorrere la strada su cui sono state indirizzate. Ecco che si presenta l’importanza dell’etica per controllare gli algoritmi, meccanismi in grado di orientare l’opinione pubblica. Servono persone che sanno interrogarsi riguardo questioni antropologiche e sociali, una maggiore trasparenza e consapevolezza, un volto umano: la parte centrale del libro di Benanti tratta proprio l’idea del tenere l’uomo coinvolto nei processi decisionali delle macchine, tramite l’inserimento della propria etica. Un altro argomento toccato è stato quello degli algoritmi, i quali stanno prendendo il posto delle leggi, trasformandosi in strani surrogati di quest’ultime. Ci sono tensioni tra la società giusta e quella algoritmica: questa nuova geografia del potere guadagna spazio a spese sociali, ma quanto siamo disposti a pagare?
L’unicità dell’uomo
La sfida è quindi quella di evitare l’”algocrazia”, una situazione in cui l’etica sia computata dalle macchine. Come più volte hanno ribadito Benanti e Dello Vicario, la più grande ricchezza, che oggi manca alle aziende, è la risorsa umana, la possibilità di dare un senso a quei dati che, se non ingentiliti dall’uomo, arriveranno ad influenzare in modo negativo le nostre vite senza nemmeno accorgercene. Fiamma Goretti ha poi concluso enunciando la necessità di un nuovo Umanesimo: la centralità dell’uomo è ancora fondamentale.