Gabrielli Passaggi Festival

Prosegue Passaggi Festival con la rassegna Libri in piazza. Protagonista dell’incontro è stato Franco Gabrielli con “Naufragi e nuovi approdi” edito da Baldini e Castoldi. L’autore ha conversato con Giorgio Santelli, giornalista di Rai News 24. Il tema del libro è stato l’immane tragedia del naufragio della concordia, le vite spezzate che ha comportato e le dodici fatiche di Ercole necessarie per rimuovere il gigante di ferro.

I costi umani della tragedia

È chiaro che quando parliamo del naufragio della Costa Concordia parliamo di un disastro: una tragedia che ha strappato la vita a trentadue persone a bordo della nave e ad un sommozzatore spagnolo impegnato nei lavori di recupero del relitto. Il libro di Gabrielli non nasce sulle ali di un’emozione, ma origina dalla volontà e dall’ambizione di raccontare le storie di chi fa grande il nostro paese. Si tratta delle vicende di un’Italia complicata e delle storie straordinarie di tanti servitori: cittadine e cittadini che hanno resi servizio alla nostra penisola. È inutile criticare una disgrazia dopo che questa è avvenuta, bisogna conoscere, informarsi ed aiutare. Le critiche risolvono poco, sicuramente non sono state d’aiuto quando si trattava di raddrizzare e tirare fuori dall’acqua una nave che pesava tonnellate su tonnellate.

Le disgrazie del Servizio Civile

Trattandosi di una tragedia, Gabrielli ha voluto dar vita al suo libro impostandolo sullo schema di una tipica tragedia greca. Una scelta artistico/letteraria fortemente voluta ed il cui intento è anche quello di sottolineare la non particolare efficienza del servizio civile  negli anni a cavallo del 2012. L’anno prima del naufragio della Costa Concordia, nel 2011 dunque, era intervenuta una legge che ridimensionava fortemente il servizio civile ed applicava la cosiddetta “tassa delle disgrazie”. I conti dello stato si trovavano ad essere particolarmente deficitarii e così si decise di mettere sotto tutela il servizio civile. Purtroppo  si stabilì  un meccanismo che imponeva alle regioni di disporre di somme adeguate per intervenire nelle emergenze, ed in mancanza delle stesse intervenire eventualmente su un aumento delle tasse della cise del carburante. Per questo è stata chiamata la “tassa delle disgrazie”. Si trattò di un meccanismo discriminatorio, i territori coinvolti non usufruirono del diritto di solidarietà e non potevano contare sull’aiuto del paese in caso di emergenza. Nella notte di venerdì 13 gennaio 2012 in questa situazione Franco Gabrielli ricevette una telefonata: grazie alla postazione della guardia costiera arrivò la notizia che una nave da crociera per problemi non chiari aveva interrotto la navigazione. Le prime notizie sono sempre indefinite, per definizione. Poi Gabrielli ricevette un’altra telefonata, più rassicurante questa volta: la nave diceva che avrebbe ripreso la navigazione. Nel corso della notte la vicenda non si sviluppò come era stato detto ed il tutto peggiorò tragicamente. Uno spettacolo macabro si svelò con l’avanzare delle ore: la nave reclinata su un fianco ed un serpente umano che stava cercando di guadagnare la salvezza.

Il provvidenziale aiuto

La rimozione della concordia ha comportato una spesa di più di un miliardo di dollari emessi dal ministero dell’ambiente, un ministero che programma opere in tempi di pace in realtà. Gabrielli ci tiene a sottolineare un fattore estremamente rilevante: la nave è stata portata via perché hanno operato i privati, se fosse intervento un meccanismo pubblico nella migliore delle ipotesi lui stesso sarebbe finito in galera. Il problema principale è stato il fatto di aver sottovalutato moltissimo la spesa della rimozione, e per questo è stato provvidenziale l’intervento del privato. La rimozione ha comportato prima il raddrizzamento della nave e poi il trasferimento della stessa: ciò presupponeva di rimettere in asse una nave che non aveva però un’autonoma capacità di galleggiamento. Essa doveva poggiare su un falso fondale che a sua volta poggiava su ventotto piloni che dovevano entrare nel fondo marino per ben dieci metri. Tutto questo a monte imponeva ventotto trivellazioni per i ventotto piloni. Esse non ottennero però il risultato sperato: la sabbia tornava ed occupava lo spazio. Così si perse un anno e si dovettero investire altri soldi.

La forza degli isolani

Gabrielli ricorda con affetto gli isolani, protagonisti anche loro dell’intera vicenda. Poco giorni dopo il naufragio sull’isola del Giglio era apparso uno striscione che recitava “torna a bordo Schettino, cazzo”. Si è trattato di un tipico vizio italico: quando succedono eventi catastrofici la nostra nazione si trasforma in sessanta milioni di commissari tecnici, ingegneri navali, medici, virologi e chi più ne ha più ne metta. Nelle fasi immediatamente successive volevano intervenire tutti gli esperti del mondo, ma la verità è che la nave non si riuscì a smuoverla prima di trenta mesi. Ciò avrebbe potuto pregiudicare la stagione estiva dell’isola e comportare la chiusura del porto. Inizialmente gli isolani la presero male, quella dello striscione fu una delle tante invettive che traevano spunto da un problema reale e pesante, che minacciava la stessa esistenza degli isolani. Gabrielli racconta di non aver mai nascosto i veri problemi dell’emergenza, ha preso a cuore gli isolani andando a creare un forte coinvolgimento emotivo. La chiarezza ha sicuramente aiutato la protezione civile e ciò deve essere una lezione: la trasparenza deve essere condizione imprescindibile per chi svolge una funzione pubblica. L’unico cliente è il cittadino, si deve essere sempre molto chiari.

“Gli isolani si affidavano a me, e io trovavo forza in loro. Mi ha aiutato moltissimo l’aspetto psicologico: sapere di aver l’aiuto degli isolani, la percezione di non essere solo”.

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