Giuliana Sgrena

Prosegue la Rassegna Libri alla San Francesco, ospite di oggi a Passaggi Festival è stata Giuliana Sgrena con “Donne ingannate. Il velo come identità, religione e libertà” edito da Il Saggiatore. L’autrice ha conversato con Flavia Fratello, Giornalista di La7. Il libro di Giuliana Sgrena è frutto delle esperienze maturate nel corso dei viaggi. I tanti paesi e le tante realtà visitate le hanno danno occasione di riflettere su un tema importante: quello del velo.

Sentenza Roe v. Wade

L’incontro si è aperto con un tema di grande attualità. Poche ore fa la Corte Suprema americana ha deciso che la sentenza Roe v. Wade non è più valida. Non è più garantito il diritto all’aborto. È stato infatti stabilito che la costituzione non lo garantisca, in quanto non è contenuto nella costituzione stessa ma in una storica sentenza. Sono messi nuovamente in discussione i diritti delle donne americane ed è alta la probabilità che la corte interverrà anche sugli anti concezionali e sui i matrimoni egualitari. Non si può continuare a mettere a rischio quelli che dovrebbero essere i diritti fondamentali di ciascuno di noi. Bisogna parlare della libertà, difendere la propria identità e battersi per la propria la causa.

Un diritto o una limitazione?

L’autrice lo ha affermato subito e senza giri di parole: la sua opinione è che bisognerebbe vietare il velo, sempre e comunque. “Io penso che, pur non ignorando mai che ci sia una donna sotto il velo, esso sia simbolo di oppressione della donna”. Giuliana Sgrena durante i suoi viaggi ha conosciuto moltissime donne musulmane che si battono per i loro diritti, diritti umani ed universali. Chi difende il velo pensa che i diritti delle donne siano complementari a quelli degli uomini, ritiene che essi siano conseguenza del fatto che si siano sposate a uomini, che ne siano la proprietà. In Iran le donne vanno in carcere perché si tolgono il velo, in Algeria tante sono state brutalmente condannate a morte per aver avuto il coraggio di uscire senza. In Europa invece si combatte per la libertà del velo, un simbolo storico di oppressione e maschilismo. Ad Algeri le donne scendono in spiaggia in bikini per rivendicare i loro diritti, mentre in Francia è nata la questione del burkini (una sorta di burqa con cui poter fare il bagno al mare e nelle piscine pubbliche). Perché dunque l’Occidente si ostina a combattere per garantire un “diritto” che in altri paesi è vissuto come una pesantissima costrizione e limitazione della propria libertà?

Islam globale

Il tema dell’identità è molto ricorrente all’interno del libro: il velo è considerato un elemento caratteristico dell’identità della donna ma ciò cozza con l’idea della donna oppressa. Come si scioglie questa contraddizione? Giuliana Sgrena ha conosciuto diverse donne che scelgono di mettere il velo. Si tratta di una scelta ideologica e ciò succede soprattutto nelle giovani generazioni le cui stesse madri in realtà non hanno mai portato il velo. Queste giovani generazioni cercano un loro riscatto attraverso la religione, bramano un senso di appartenenza alla comunità dei credenti. È un richiamo all’islam globale forte come risposta alla globalizzazione. Attenzione: l’islam globale non cerca di trovare uno spazio in occidente, il suo obiettivo è quello di islamizzare l’Europa sulla base di una forte appartenenza al mondo dei credenti. Beninteso, solo le donne devono rivendicare l’appartenenza a questo islam globale indossando il velo. Agli uomini non è richiesto un abbigliamento particolare. Se è vero che sotto il velo c’è sempre una donna, è anche vero che dietro si cela sempre un uomo. La questione ideologica si è mescolata con la questione religiosa, identitaria ed il diritto alla libertà ed alla scelta autonoma. In sintesi, come può una donna affermare la propria libertà? Bisogna partire dalla rivendicazione dei propri diritti. Pochi lo sanno, ma nei paesi musulmani esiste un movimento femminista che ha avuto origine in Egitto agli inizi del novecento. Due estremi molto lontani dunque: da un lato donne che difendono l’uso del velo accettando imposizioni quali la poligamia, la rinuncia all’eredità e simili, dall’altro lato il femminismo islamico.

La moda modesta

La questione del burkini ormai è diventata di tendenza. Dietro c’è un mercato molto fiorente che fa capo alla moda islamica, chiamato moda modesta. Il tutto è paradossale: nei paesi musulmani si lotta per il diritto di indossare il bikini. Nelle spiagge che Giuliana Sgrena ha visitato è proibito portare il burkini. È una questione di visibilità, dietro si cela tutto un corollario di altre imposizioni, se ne accettiamo una allora dobbiamo accettarle tutte. Se accettiamo di indossare il velo allora dobbiamo accettare anche le classi separate, spiagge separate e chi più ne ha più ne metta. Non possiamo distinguere una cosa dall’altra. Pensate che in Marocco il re ha vietato che sui libri scolastici fossero riportate foto di donne con il velo, così che i bambini non crescessero con questa idea. Non possiamo lasciare che i bambini crescano con queste idee obbligando poi le donne della loro famiglia a portare il velo. Eppure, se facessimo una manovra simile in Europa verremmo accusati di islamofobia.
Il senso del velo è quello di privarsi della visibilità del proprio corpo per non indurre tentazione nell’uomo. Nei paesi musulmani le donne sono costrette ad abbassare gli occhi quando incontrano un uomo, non possono far sentire la loro voce (pensate solo che i talebani avevano proibito anche i tacchi a spillo, per impedire che creassero un rumore che avrebbe potuto attrarre l’attenzione di un uomo). Tutto questo è un annullamento della donna. La cosa più importante è proprio la voce, se noi parliamo è perché manifestiamo la nostra esistenza.

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