Prosegue la rassegna I sandali del filosofo, situata nella location del Chiostro delle Benedettine. Ospite di venerdì 24 giugno a Passaggi Festival è stato Michele Gerace con “Qualcosa che sfiora l’utopia. Pensare un futuro più giusto”, edito da Jouvence. L’autore ha conversato con la scrittrice Silvia Andreoli. Il libro nasce con l’idea di essere un saggio: le parole vengono usate come segnalatori, suggeriscono di riflettere sulle cose. Come tante porte che vengono aperte, la lettura offre tanti spunti e tante riflessioni. Un saggio di grande respiro che ci regala la possibilità di imparare a guardare in modo sapiente.
Immaginare per crescere
L’immaginazione è ciò che ci rende indissolubilmente umani, quella di poter immaginare e modellare la realtà è una dote che gli animali non possiedono. Noi possiamo vedere ciò che vogliamo vedere. Pensiamo ad esempio all’innamoramento: si tratta di una fase di stordimento. All’inizio noi ci immaginiamo la persona come vorremmo che fosse e poi eventualmente avviene l’innamoramento. L’immaginazione ci permette di dare vita a forti dissidi interiori, si tratta di processo che innesca una crescita, psicologica e spirituale. Non possiamo rinunciare alla complessità, si tratterebbe di amputazione di ciò che ci appartiene. Al contrario, dobbiamo immergerci nelle difficoltà nello spaesamento (che è tra l’altro la trama portante di ogni fiaba). L’essere umano è complesso e così è il suo patrimonio: se esso andasse perduto l’uomo andrebbe disumanizzandosi. La nostra coscienza dipende dall’immaginazione, strumento di coesione e dialogo, innovativo rispetto alla nostra storia breve.
La libertà dell’uomo
Gianni Rodari ha parlato della fiaba come “utile iniziazione all’umanità”, ed anche Maria Montessori ha sempre tenuto ben a mente questa metafora di emancipazione dell’umanità. La complessità ci ricorda che siamo esseri paradossali, ambigui e contraddittori. Uno scienziato è capace di definire la mente come insieme delle funzioni del nostro cervello, ma se gli chiedessimo di definire la coscienza probabilmente non otterremmo risposta.
Che cos’è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, io lo so; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so. Sant’Agostino
Noi essere umani sfuggiamo ad una definizione che sia una volta per tutte. ciò che vediamo ci permette di vivere l’ambizione che possa essere qualcos’altro. Dobbiamo intendere l’immaginazione come la possibilità di poter continuare a dire qualcosa, di coniare una parola nuova.
La catarsi fiabesca
La differenza principale tra la fiaba e la favola è la presenza o meno dell’elemento fantastico e magico, caratteristica peculiare della fiaba e completamente assente nella favola, basata invece su canoni realistici. Nella narrazione di una fiaba si ritrovano diversi costanti (alcuni le chiamano archetipi). La storia origina da una difficoltà e l’eroe è costretto a fare un viaggio in cui incontra numerose forze ed aiutanti magici. Il percorso svolto lo porta ad arrivare ad un’affermazione di sé differente dall’immagine iniziale. Si tratta di un viaggio iniziatico, il protagonista si afferma psicologicamente e socialmente. Il percorso è una catarsi e lo porta ad assumere un ruolo che è suo e solo suo. La fiaba dunque racconta l’evoluzione del personaggio tramite i gesti che lui compie. Non a caso Italo Calvino ha affermato che le fiabe siano il catalogo del destino degli uomini soprattutto della giovinezza. La fiaba dunque va intesa come paradigma positivo in cui è presente l’utopia anche se non viene dichiarata.
La paura nel corso della storia
Una delle tematiche di cui si è discusso durante l’incontro è stata la paura. La paura può paralizzare, può diventare un vincolo e bloccarti oppure, al contrario, può destarti, acuire i tuoi sensi e permetterti di stupirti. Quando l’uomo all’inizio dei tempi fronteggiava le forze selvagge della natura si trovava di fronte ad una paura che lo immobilizzava e lo stupiva insieme. La paura può essere drammaturgica se porta ad una grande interrogazione di fondo. Fino a che non ci si perde e non ci si smarrisce, non si capisce fino a che dove ci si trova. Farsi una mappa del mondo significa rappresentarsi la possibilità di una visione ed anche la paura, in questo senso, diventa possibilità di esplorazione e rappresentazione. La paura pacificante è mortale, non ci permette di pensare altrimenti. Non possiamo ragionare per necessità, così facendo non ci sarebbe possibilità di cambiamento. Dobbiamo sempre avere in mente la possibilità di essere altro.
Utopia e distopia
L’utopia ha a che fare con la nostra prerogativa di essere umani. Essa di per sé e pericolosa, le pagine più brutta della storia del Novecento sono causate dalla ricerca di perfezione all’interno dell’utopia (utopia sono stati il nazismo ed il comunismo nelle sue forme più becere). L’utopia è un tendere, una ricerca costante e spasmodica, quasi una sorta di atteggiamento. Si tratta di un concetto diverso da quello di distopia: la distopia la immagini perché vuoi che non accada, te la figuri per scansarla. L’utopia invece è una prototipazione di quello che vorresti, l’accetti per realizzarla. Una sorta di manuale di istruzioni, comporta impegno e desiderio per essere realizzata. L’utopia è una sorta di progressione, si parte con un’idea ma è nel continuo confronto con la realtà che impariamo la strada da percorrere e la meta da raggiungere.
Utopia e fiaba sono gemelle: ciò che accade è ciò che permettiamo che accada. Si cambia perché ci si scambia, si vive perché continuamente si muta. Il saggio di Michele Gerace si pone come un invito al confronto ed allo scontro, non inteso come prevaricazione. Non dimentichiamo le parole dell’altro ed utilizziamole, insieme alle nostre, per credere in un’utopia concreta. L’utopia si fa umana quando affonda le sue radici nell’umano.