Alex Schwazer è un marciatore italiano, nel suo palmarès si annoverano un oro con record olimpico alle Olimpiadi di Pechino 2008 nella marcia 50 km, un oro negli europei di Barcellona 2010 nella 20 km e due bronzi entrambi per la 50 km: uno ai mondiali di Helsinki 2005 e l’altro ai mondiali di Osaka 2007. Schwazer è stato squalificato dalle competizioni in quanto risultato positivo al test antidoping nelle gare di qualificazione alle Olimpiadi di Londra 2012. Dichiaratosi colpevole e scontata la squalifica, viene nuovamente colta la sua positività ai test antidoping prima delle Olimpiadi di Rio 2016, Schwazer, questa volta, si è dichiarato innocente. Nonostante l’archiviazione in Italia nel 2021 del procedimento penale per doping a carico dell’atleta, non è stata tuttavia dello stesso parere l’Agenzia mondiale antidoping, per la quale Alex rimane colpevole. A Passaggi Festival, in occasione della rassegna “Passaggi di Benessere”, Alex Schwazer ha presentato il suo libro “Dopo il traguardo” (Feltrinelli). L’autore conversa con Martino Gozzi (Scuola Holden) e Luciano Murgia (Giornalista).
Il peso delle aspettative
Alex, nel suo libro, racconta la sua esperienza di vita, dagli inizi ai primi successi, la fatica, la felicità, l’oro olimpico poi lo scandalo doping. Una vita incredibile quella di Schwazer. “Cominciai a correre in preparazione agli allenamenti di hockey. Mi piaceva correre, mi dava soddisfazione”. Lo faceva nonostante il brutto tempo e le rigide temperature invernali dei dintorni di Vipiteno, dove è nato. “Quando avevo 18 anni era un sogno: venivo pagato per correre e fare gare, ovvero ciò che amavo. Il lato “negativo” è che non avevo altri interessi: quando le gare andavano bene, tutto andava bene mentre quando andavano male, tutto andava male”. Fino all’oro olimpico di Pechino Alex era contento di correre, tuttavia dopo quest’impresa la corsa, l’unico interesse che aveva davvero avuto, diveniva un obbligo, non più un piacere. “Quando ho vinto l’oro a Pechino avevo 23 anni. Il mio sogno diveniva realtà. Tutti però, da quel momento, si aspettavano che, comunque sarebbe andata, io sarei andato bene”. Alex sentiva la pressione del pubblico, degli amici, non riusciva a trovare modo per uscire da questo groviglio di voci che lo osannavano, che non gli concedevano un momento di debolezza, di riposo, di umanità. “Il fatto è che per un calciatore, se una partita va male, c’è n’è comunque un’altra la domenica successiva, per uno che marcia o che corre, invece, ci si prepara dei mesi se non degli anni per una gara sola”.
La scelta del doping, unico rimedio per accontentare tutti, o forse nessuno
Alex spiega cosa significa trovarsi sotto i riflettori. Dover accontentare prima il pubblico e la comunità sportiva e poi, in secondo piano, sé stessi. “C’è stata una grande commistione di sentimenti che faccio fatica a spiegare. Avevo deciso che mi sarei dopato, non c’era marcia indietro. Sono andato in Turchia per procurarmi le sostanze dopanti all’insaputa di tutti. Ero in un tunnel, dovevo andare alle Olimpiadi e dover vincere, per forza. Ho pensato cosa avrebbe potuto dirmi mia madre “Non farlo, ti metterai nei guai” erano cose che sapevo, ma nessuno poteva capire quanto mi sentissi stretto nella morsa delle aspettative. I mesi prima di Londra sono stati terribili, non ero più io, non riuscivo ad uscirne”. “Dopo Londra e la squalifica tu non esitasti, hai ammesso “Sono colpevole”, dice Gozzi. Schwazer lo ammise perché era vero, perché l’aveva fatto. Tuttavia “Dopo un anno senza corsa né marcia, sentii il bisogno, come quand’ero più giovane, di correre di nuovo, di tornare a competere. Se non mi fossi sentito in grado di tornare a correre non l’avrei mai fatto, i mesi prima di Londra sono stati terrificanti e vuoti, la peggiore esperienza della mia vita, col doping avevo chiuso per sempre” puntualizza Schwazer.
La positività prima di Rio ed il riconoscimento dell’innocenza di Alex
Alla fine Alex è stato nuovamente escluso dalle Olimpiadi, questa volta quelle di Rio 2016, nuovamente per doping. “Mi hanno escluso perché dopato quando però non lo ero. Sono stato escluso da Rio su delle menzogne, il sistema di controllo aveva fallito. Dopo aver dato il verdetto sulla loro giustizia sportiva non potevano ritirare le accuse, il tribunale di Bolzano confermò la sentenza contro di me. Se fosse cambiato qualcosa ne sarebbe andata della loro onorabilità, così invece ne andò della mia”. “Sembra quasi”, suggerisce Murgia, “che la comunità sportiva volesse comunicare qualcosa della serie: quando una persona ha sbagliato una volta, sbaglia sempre”. Un comportamento scorretto viene punito e ciò è più che giusto. Quando però quell’individuo si pente delle sue azioni e si comporta correttamente allora non si parla più di giustizia. Alex pronuncia quindi una frase che viene accolta con applausi scroscianti dal pubblico:
“Credo che nella vita si possano commettere errori perché se commettere errori significa essere esclusi da tutti allora nessuno farebbe più niente. Solo chi non fa niente non sbaglia”.
La sentenza di Bolzano che ha scagionato Schwazer, risalente al 2021, afferma che qualcuno abbia effettivamente manomesso le provette di urine del marciatore italiano in Germania, poi quelle provette sono nuovamente state manomesse per nascondere le prove della prima contraffazione. Alex spiega come sia stato difficile vivere sapendo di non aver fatto niente di male quando tutti ti puntano il dito contro gridando allo scandalo. “Abbiamo fatto denuncia contro ignoti, speravo solo che prima o poi la giustizia avrebbe prevalso, ci sono voluti 5 anni. Tuttavia prima che la giustizia sportiva riconoscerà internazionalmente la mia innocenza passeranno molti anni, forse non accadrà mai. Andremo anche a Strasburgo, alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, poiché quello che mi è stato negato, per 5 anni in Italia, tutt’ora per l’Agenzia mondiale antidoping, è un diritto”.