Nella penultima serata di Passaggi Festival, all’interno dell’ex Convento delle Benedettine, si è svolto l’incontro con Amedea Pennacchi, presidente di PWN (Professional Women Network) dal 2022, un’associazione che opera a favore della parità di genere all’interno delle organizzazioni. È inoltre sorella di Antonio Pennacchi, vincitore del Premio Strega con Canale Mussolini nel 2010.

L’autrice, nell’ambito della Rassegna “Una stanza tutta per sé”,  ha presentato il suo libro “Molotov e bigodini” edito da Edizioni E/O, un racconto autobiografico riguardante la sua vita adolescenziale e i vari contesti in cui si è svolta. Ad intervistarla Flavia Fratello, giornalista del TG La7 e conduttrice di programmi quali  “Stampa e Regime” di Radio Radicale, e Tiziana Ragni, giornalista che ha lavorato per gli uffici stampa di RAI e Treccani ed è stata portavoce del ministro della Pubblica Istruzione nel secondo governo Prodi.

 

Una storia di ribellione

“Molotov e bigodini” tratta di una ragazza di nome Alice, che si ribella alla sua famiglia, a causa della mentalità bigotta dettata dalla forte cristianità e dalla permanenza a Latina che limita il suo apprendimento. Alice vive in una famiglia democristiana, sotto regimi severissimi: ad una certa ora si va a letto, ci si veste con gonne lunghe, no minigonne o pantaloni. Si conosce veramente poco del mondo, perché questo spetta agli uomini, tanto che Alice quando le arrivano per la prima volta le mestruazioni rimarrà sconcertata, non ha la minima idea di cosa siano.
L’essere donna è da sempre definita dalla mamma come una disgrazia e questo lei non lo accetterà mai, tanto che terrà un diario, nel quale per un certo periodo, si chiama da sola sotto il nome di Guglielmo.
Per scappare da Latina sposa un uomo molto giovane di un altro paese, che all’interno del libro viene chiamato “Il Siciliano”. Questo matrimonio permette di avere un compromesso con la famiglia per poter andare via da quella realtà limitante.
Nel libro vengono toccati molti altri argomenti, ma non si arriverà mai ad una conclusione definitiva, tanto che durante l’incontro l’autrice rivela il progetto di una seconda parte, che però non si sa se verrà mai pubblicata, in quanto è fortemente derisoria e va ad umiliare le aziende principalmente popolate da uomini.

 

Il desiderio di libertà

Ad un certo punto della storia, la protagonista si unirà al movimento maoista, spinta dall’attrazione verso le aspirazioni dei rivoltosi: niente più persone sfruttate o sfruttatori; tutti con una pari dignità. L’obbiettivo comune era la costruzione di una società giusta.
Quei tempi furono anni di profonda rivoluzione anche in Italia, con le rivolte operaie, ma i capi delle rivoluzioni erano sempre tutti maschi. La donna era priva di una dignità individuale, ad esempio veniva identificata  come moglie del marito e non in base al vero nome, o non poteva accedere a cariche importanti. Il vero obbiettivo dei capi dei rivoltosi era quello di sposare le donne più belle.
Tuttavia tra le varie proteste ci furono anche quelle delle femministe, che però fin da subito furono viste di cattivo occhio dagli uomini, in quanto le ritenevano di poco conto, rispetto alle loro. Anzi, sostenevano che distogliessero l’attenzione dalle loro questioni. Alle donne di ciò non interessava: volevano solo finalmente far sentire la loro voce e i gruppi femministi organizzati cominciavano a crescere.

 

Molotov e bigodini

Durante la rivoluzione del ’68 il vero salto di qualità lo hanno compiuto le donne, attraverso diverse proteste, che però spesso dilagavano in violenza. Il titolo nasce dal fatto che le donne nelle loro borse tenevano sia i bigodini, per essere in ordine, ma durante il periodo del ’68 anche armi, come le molotov, per far sentire la loro voce. Perché in fondo ogni forma di violenza tende a degenerare, sia quella verbale che quella fisica. L’autrice stessa racconta di quando camminando nelle vie della sua città le mettevano queste molotov o armi, come pistole, all’interno della borsa, che non era nemmeno così capiente e che quindi rappresentava un pericolo. Il libro è inoltre un itinerario di storia, per la prima volta raccontato da una donna, in quanto al suo interno sono narrati degli eventi fondamentali come il caso Moro, o il flusso di quell’epoca, un flusso ribelle, che portava tutti a voler far sentire la propria voce e sfogare pubblicamente la creatività personale.

 

Una tregua tra uomini e donne

La donna -afferma l’autrice- è ritenuta inferiore all’uomo per un retaggio culturale. Se prima il femminismo creava un netto spaccamento tra uomo e donna, a causa di uno sfrenato fanatismo, che portava le mogli a separarsi dai mariti per sentirsi libere o ad avere un odio incontrollabile verso il sesso opposto, ora tutto questo è cambiato: le donne se isolate non possono fare molto ed anzi, oggi come oggi la presenza di figure maschile supportanti il femminismo è molto importante.
L’autrice si sta impegnando con un progetto sulla cultura, sulla parità e sul rispetto che unisce 70 associazioni, lavorando con il Ministero dell’Istruzione, per poter riportare delle leggi in vigore, in funzione del problema di genere.
Le donne tutt’oggi hanno paura di far sentire la loro voce, quasi come vergognandosene. In fondo le donne al potere, capaci di dare supporto a queste giovani ragazze, sono solo il 3% e forse ciò che bisogna cambiare è questo: ci sono ancora molte realtà, come quelle aziendali che sono profondamente maschiliste, che non rispettano le donne e le fanno sentire inadeguate.

La chiave di volta per dar spazio al femminismo sta anche nel contributo degli uomini: devono capire che le donne non vogliono prevaricarli, ma vogliono lavorare al loro fianco perché in fondo tutti abbiamo le stesse capacità ed è inconcepibile che in una società che a noi piace definire “moderna” non ci siano pari opportunità per un fattore culturale intriso di pregiudizi.

 

 

 

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