A concludere la serie di eventi nell’ex Chiostro delle Benedettine è stato l’incontro che ha visto protagonista il filosofo Armando Massarenti, che ha presentato la sua ultima fatica letteraria “Come siamo diventati stupidi. Una immodesta proposta per tornare intelligenti” edito da Guerini e Associati. A conversare con lui nell’ambito della Rassegna “I sandali del filosofo”, la docente e critica letteraria Carolina Iacucci.

Intelligenza e stupidità, due mondi vicini

Il titolo del libro è abbastanza accattivante, volto a catturare l’attenzione del lettore. Scomponendolo emergono una serie di domande: cosa si intende quando parliamo di intelligenza? Come siamo diventati stupidi? Come possiamo recuperare l’intelligenza? Sono tutti argomenti approfonditi nel libro, correndo il rischio di essere arroganti. Per questo motivo, Massarenti ha cercato di dare un tono ironico alle varie tematiche pur affrontandole scientificamente. La definizione di intelligenza è molto difficile, ma si può affermare che la stupidità e l’intelligenza non sono una l’opposto dell’altra, ma sono separate da una sottile lastra di ghiaccio che basta un piccolo passo falso per infrangere.

 

Pappagalli stocastici

Al giorno d’oggi gli studenti e le studentesse delegano alle macchine i compiti che spetterebbero a loro. L’apprendimento avviene con un metodo “a pappagallo” che prevede la restituzione di informazioni senza alcun filtro. Uno dei capitoli del libro si intitola appunto “Pappagalli stocastici”. In esso si racconta come l’intelligenza artificiale elabora delle risposte bizzarre, simili a quelle risposte che danno gli studenti che hanno letto qua e là delle cose e le mettono insieme in maniera stravagante e folle. Ad esempio se venisse chiesto all’intelligenza artificiale se Cicerone fumava, essa risponderà che non poteva fumare perché non c’era ancora il tabacco, ma dopo un po’ affermerà che era bravo a scrivere opere sul fumo e sui problemi ad esso correlati, contraddicendosi. In questo dramma generale la cosa peggiore è che si è visto che quando l’intelligenza artificiale prova a correggersi è più brava degli studenti: riesce a decodificare meglio l’errore, a scusarsi e costruire un discorso più sensato.

 

Stupidità non è stoltezza

La stupidità e l’intelligenza non si autoescludono, ma si accompagnano l’un l’altra. Partendo dalla definizione di Treccani, la stupidità si associa a chi è lento di comprendonio. Molte cose stupide però le facciamo proprio perché ragioniamo velocemente, credendoci intelligenti, ma giungendo a delle conclusioni sbagliate. Continuamente si corre il rischio di ragionare in fretta e commettere errori, mentre se si analizza e si considerano tutte le possibilità si ridurrebbe notevolmente l’errore. La stupidità è però diversa dalla stoltezza. Bruno De Finetti ha scritto un libro “sull’imbecillocrazia” nel quale afferma che non è tanto l’essere imbecilli il problema, ma il culto dell’imbecillità cioè quando la stupidità diventa vizio. Per analogia, Kevin Mulligan nel suo libro afferma che la stupidità è una cosa normale, su cui possiamo ridere. La stoltezza è il vizio della stupidità: voler insistere e perseverare nell’essere stupidi.

 

Perché anche gli intelligenti fanno cose stupide?

L’inventore di Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle, ha creato uno dei personaggi più logici della storia della letteratura. Eppure credeva fermamente nelle fate. Ciò avviene perché non sempre essere intelligenti significa essere razionali. Anche le persone con un alto Quoziente Intellettivo sbagliano, a causa di una dislessia del ragionamento che porta a essere “disrazionali”. Quindi come la stupidità non è stoltezza, allo stesso modo l’intelligenza non è razionalità.

 

Una scarsa percezione della realtà

Nel 2015 l’Italia ha vinto il premio di paese più ignorante del mondo, poiché uno studio ha messo in luce una sbagliata percezione della popolazione su temi importanti. Ad esempio a domande riguardanti l’immigrazione, le ragazze madri o il clima, la risposte hanno messo in luce una visione molto più pessimista della realtà: si esagera sul numero di ragazze madre o si crede che la maggioranza degli immigrati siano islamici. Questo fenomeno deriva dalla saccenza, ovvero dalla convinzione di sapere cose che in realtà non sappiamo. La stupidità è cresciuta perché non si ha più interesse verso la verità o le argomentazioni che sono alla base del pensiero critico. Il filosofo Montagne diceva è importante avere teste ben fatte e non piene. Ciò significa teste che conoscono gli strumenti: Internet rappresenta una grande opportunità che ci consentendo di accedere a numerose informazioni. Però occorre avere gli strumenti giusti per sapersi muovere: le nuove generazioni non hanno quel background culturale necessario ad orientarsi in un mondo così vasto come quello di Internet.

 

L’intelligenza e i fattori ambientali

Massarenti ha raccontato il caso dello psicologo neozelandese Flynn. Egli notò che i test d’intelligenza ottenevano risposte sempre migliori con il passare del tempo. A confermarlo vi erano anche numerosi altri studi. Analizzando questi dati si era però andati incontro all’evidenza che le persone di colore ottenevano risultati inferiori rispetto alle persone bianche. Flynn al posto di negare questa affermazione e distaccarsene, ha deciso di approfondire e cercare di capire se il dato fosse vero e quale potesse essere la causa. Dalle sue osservazioni è emerso che l’intelligenza non è un discorso di genetica, ma si muove di concerto con la risposta ambientale. Le società rurali generano intelligenze applicative, mentre le società simboliche producono intelligenze astratte. È vero che ci sono persone più vocate geneticamente, ma l’intelligenza non ha nulla a che vedere con la razza.
Flynn dà un insegnamento ancora più generale: non bisogna agire combattendo a priori il proprio avversario intellettuale, ma bisogna cercare di capire. L’intelligenza viene uccisa dal fatto che gli studenti nelle migliori città americane non hanno la possibilità di confrontarsi con tesi opposte alle loro. Se non si è in grado di argomentare le proprie tesi e di contrastare quello che non si condivide, come è possibile progredire?

 

Un’eccessiva suscettibilità

Lo psicologo Flynn ha scritto anche un’opera dal titolo “Un libro troppo pericoloso per essere pubblicato”, che parla di argomenti sociali quali il discorso LGBT.  Toccando tematiche così delicate, le case editrici hanno di non pubblicarlo perché poteva creare una certa suscettibilità. Al giorno d’oggi diventa difficile parlare con tutta questa suscettibilità. Uno dei sospettati della stupidità è il politicamente corretto, perché non garantisce lo sviluppo. Se si sommano le varie censure sia della sinistra che della destra, quando mai si riesce a studiare approfonditamente un problema? In America alcuni professori vivono la paura di essere licenziati o censurati perché magari vengono trattate determinate tematiche. È importante anche non uccidere le idee nella culla, perché qualunque idea purché ben strutturata merita di essere sottoposta a discussione.

 

Una riflessione politica

Il prossimo anno si svolgeranno in America le elezioni. La precedente campagna elettorale ha messo in luce quanto la destra abbia capito l’importanza dei valori etici, aspetto che la sinistra ha più trascurato a favore di un approccio maggiormente logico. Eppure si è visto come la morale sia fondamentale all’interno del discorso politico. Jonathan Haidt nel suo libro “Mente tribali” mostrò che la destra possiede una tavolozza morale più ampia della sinistra. Trump ha impostato la sua campagna elettorale sulle cosiddette “bugie blu”, che non sono bugie bianche a fin di bene, ma bugie volte a consolidare l’identità di gruppo e risvegliare la parte più tribale degli uomini. Dentro di noi vive infatti questo elemento tribale e Trump ha capito che le masse popolari potevano essere solleticate risvegliando questo aspetto, che di solito viene tenuto a bada dalla società.

 

L’importanza dell’otium

Il libro parla dell’importanza dell’”otium”, ovvero del tempo improduttivo che i greci chiamavano “scholè”. La scuola al giorno d’oggi è un’istituzione che addestra i ragazzi ad aggredire il mondo del mercato. Invece in passato la scuola costituiva un tempo di riflessione, domande e discussioni quindi di otium. Questo discorso si ricollega ad un altro libro di Jonathan Haidt “Generazione ansiosa” nel quale denota che da quando sono emersi gli smartphone, i bambini che ne entrano in contatto precocemente sviluppano dei problemi dettati dalla mancanza di gioco e socialità e quindi dell’infanzia. Ed è proprio da qui che bisogna ripartire.

La capacità di giocare si collega in maniera molto stretta alla cultura: la cultura è riuscire a giocare tutta la vita.

 

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