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“La stoltezza, l’errore, il peccato, l’avarizia, abitano i nostri spiriti e agitano i nostri corpi[…] Ma in mezzo agli sciacalli, le pantere, le cagne , le scimmie, gli scorpioni, gli avvoltoi, i serpenti, fra i mostri che guaiscono, urlano, grugniscono entro il serraglio infame dei nostri vizi, uno ve n’è, più
laido, più cattivo, più immondo. Sebbene non faccia grandi gesti, né lanci acute strida, ridurrebbe volentieri la terra a una rovina e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo. È la noia! L’occhio gravato da una lagrima involontaria, sogna patiboli fumando la pipa. Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato – tu, ipocrita lettore – mio simile e fratello”.

Così il poeta francese Charles Baudelaire (1821-1867) si rivolge al suo lettore modello, nell’introduzione all’opera che lo renderà celebre, I fiori del male, pubblicati a Parigi il 25 Giugno 1857.

L’opera risente del malessere interiore del poeta che stanco della propria condizione all’interno della società parigina, si rifugia in uno stile di vita Bohémien, fatto di eccessi spesso autodistruttivi, comportamenti dissacranti e immorali, temi che si ritrovano nella raccolta, il cui titolo nasce
proprio dalla volontà di Baudelaire di compiere un viaggio, insieme al lettore, verso il lato più oscuro dell’animo umano, utilizzando la poesia per “estrarre la bellezza dal male”.

Il viaggio, tra Spleen e Ideale

“Straordinari viaggiatori, quali nobili storie leggiamo nei vostri occhi profondi come il mare.
Oh, mostrateci gli scrigni della vostra ricca memoria, i gioielli meravigliosi fatti di astri e di etere”.
(Il Viaggio, Charles Baudelaire)

La stessa struttura dell’opera, che trova forma definitiva solo nel 1861, rimaneggiata da Baudelaire a causa di un’accusa di oltraggio alla morale pubblica e religiosa, suggerisce un itinerario immaginario, costituito da più di cento poesie divise in sei sezioni: “Spleen e Ideale”, “Quadri
parigini”, “Il vino”, “I fiori del male”, “La rivolta” e “La morte”.

Questo viaggio comincia con il concetto di Spleen, una forma di disagio esistenziale che nasce dall’incapacità del poeta di adeguarsi alla realtà in cui vive. L’artista, agli occhi di Baudelaire è simile ad un albatro, un gigante alato nato per volare in alto nel cielo e che una volta costretto a vivere in terra, appare goffo e ridicolo. L’ideale invece è quella bellezza che il poeta ricerca in continuazione, poiché appartiene in realtà ad un mondo irraggiungibile. La bellezza che solo l’arte può rendere eterna, come la “Notte” (la principessa di Sparta, Leda) di Michelangelo oppure la
Sfinge, una creatura mitologica che nasconde nei grandi occhi la “luce immortale”.

L’influenza della cultura ellenistica è evidente, non solo per quanto riguarda il concetto della bellezza ideale. Anche la parola spleen viene dal greco e significa “milza”, la cui bile nera prodotta dall’organo, secondo la medicina degli umori di Ippocrate di Cos, porterebbe ad uno stato di
malessere esistenziale, inquietudine e noia.

“Laggiù tutto è ordine, bellezza, lusso, calma e voluttà.
Guarda sui canali dormire vascelli dall’umore vagabondo:
è per assecondare il tuo minimo desiderio che vengono di capo
al mondo”.

(Invito al viaggio, Charles Baudelaire)

Fuga e partenza verso l’ignoto

Il viaggio tematico di Baudelaire, perciò si trasforma in una via di fuga, la noia e il malessere esistenziale portano a ricercare la pace attraverso un’attenta osservazione della realtà simboleggiata dalla città di Parigi, ma ciò che ci si ritrova davanti è una situazione angosciante che spinge il poeta ad evadere attraverso i fumi dell’alcool e delle droghe che diventano dei paradisi artificiali, simboleggiati dai Fiori del male e la ribellione contro la morale e la religione cristiana.

L’unica speranza è il viaggio verso la morte, in quell’ignoto tanto caro all’eroe omerico Odisseo, simbolo per eccellenza del viaggio che Baudelaire non nomina mai ma che sembra replicarne le gesta nel componimento poetico Il viaggio :

“Un mattino partiamo, il cervello in fiamme, il cuore gonfio de rancore e di voglia di amare, e andiamo seguendo il ritmo delle onde, cullando il nostro infinito sul finito dei mari: gli uni, felici di fuggire una patria infame, gli altri l’orrore delle proprie culle; e alcuni, astrologhi perduti negli
occhi d’una donna, Circe tirannica dai profumi fatali”.

Nella morte egli non ricerca un porto sicuro ma bensì un luogo, Cielo o Inferno non fa alcuna differenza, che potrebbe finalmente liberarlo dalla monotonia e dalla noia, quel mostro che Baudelaire ha combattuto tutta la vita, ricercando quella bellezza eterna che la sua arte e le sue
poesie ci hanno lasciato.

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