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Albania e Italia: paesi fratelli, anche nella cultura. Dall’anno scorso Passaggi dedica una rassegna agli scrittori balcanici e, proprio negli ultimi mesi, si è intensificata la collaborazione con l’Albania, con una visita a Tirana di una delegazione di Passaggi Festival, inseme al Corriere della Sera, in occasione del primo convegno internazionale degli scrittori albanesi della diaspora.

L’Albania: un paese che, non solo nel passato più recente, ma dai tempi della prima migrazione, in quel caso una diaspora, seguita alla caduta dell’impero bizantino, intrattiene con l’Italia un rapporto di sorellanza inquieta e sempre viva, un impegno di reciproca solidarietà, un sentimento di mutua responsabilità.

Le parole con cui il Primo ministro della Repubblica di Albania Edi Rama ha accompagnato ieri un contingente di trenta tra medici e infermieri albanesi in partenza da Tirana per aiutare il nostro personale sanitario impegnato nell’emergenza coronavirus, sono tra le più alte pronunciate in questi giorni.

Un’orazione che impartisce una lezione di buona politica a tutta l’Europa in nome di valori che per l’Albania, fino a ieri alle prese con le macerie lasciate dal totalitarismo, con crisi economiche durissime e difficili congiunture sociali, non sono mai stati negoziabili.

E appunto perché si sottraggono a ogni logica contingente, i valori di solidarietà onorati da Rama ci ricordano che il contributo di una nazione all’edificazione civile non passa soltanto attraverso un primato finanziario o dinamiche produttive virtuose, ma soprattutto attraverso l’espressione di una visione inclusiva e allargata della collettività, di un’idea di umanità non soggetta a logiche contabili.

Edi Rama, con le sue parole emozionate e, ciò nonostante, pronunciate in un italiano impeccabile, ci ha ricordato che la pietas, valore supremo della tradizione greco-latina prima e cristiana poi, è e deve restare il cardine culturale dell’Europa, la condizione, forse, senza la quale l’Europa non è neppure possibile.

Riportiamo, integralmente, il discorso del premier albanese Edi Rama.

Qui in Albania sembrerà strano che trenta medici e infermieri della nostra piccola armata in tenuta bianca partiranno per la linea del fuoco in Italia.
So che trenta medici e infermieri non ribalteranno il rapporto tra la forza micidiale del nemico invisibile e le forze in tenuta bianca che lo stanno combattendo nella linea del fuoco, dall’altra parte del mare.
Ma so anche che laggiù ormai è casa nostra da quando l’Italia, le nostre sorelle e i fratelli italiani ci hanno salvato, ospitato e adottato in casa loro, quando l’Albania bruciava di dolori immensi.

Noi stiamo combattendo lo stesso nemico invisibile, le risorse umane e logistiche della nostra guerra non sono illimitate, ma oggi noi non possiamo tenere le forze di riserva in attesa che siano chiamate, mentre in Italia si stanno curando in ospedali di guerra anche albanesi feriti dal nemico, e hanno un enorme bisogno di aiuto.

È vero che tutti sono rinchiusi nelle loro frontiere e anche paesi ricchissimi hanno girato la schiena agli altri, ma forse esattamente perché noi non siamo ricchi, ma nemmeno privi di memoria, non ci possiamo permettere di non dimostrare all’Italia che gli albanesi e l’Albania non abbandonano mai l’amico in difficoltà.

Questa è una guerra dove nessuno può vincere da solo e voi, cari membri coraggiosi di questa missione per la vita, state partendo per una guerra che è anche la nostra. E l’Italia la deve vincere questa guerra, e la vincerà, anche per noi, anche per l’Europa e il mondo intero.

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