Il sogno di Ventotene
Era il 1941, la Seconda Guerra Mondiale imperversava e sembrava evidente che a vincerla
sarebbero state le potenze dell’Asse. Sull’isola di Ventotene tre uomini in confino politico
redassero un documento lungimirante che avrebbe tracciato le linee della Carta dei Diritti
fondamentali dell’Unione Europea. Si trattava di Altiero Spinelli (politico e scrittore Comunista),
Ernesto Rossi (giornalista antifascista) ed Eugenio Colorni (filosofo antifascista). I tre, con il
supporto di Ursula Hirshmann (militante del Partito Socialdemocratico tedesco, tra le prime
ferventi oppositrici del Partito Nazionalsocialista, fuggita dalla Germania nel ‘33), in circa sei mesi
diedero vita al Manifesto di Ventotene. Secondo quanto scritto in questo testo fondante
dell’Unione Europea superare la divisione dell’Europa in Stati Nazionali “non più considerati come
lo storico prodotto della convivenza degli uomini” era un’urgenza: l’esperienza traumatica della
Guerra aveva posto davanti agli occhi di tutti quanto tale divisione avesse un potenziale
distruttivo.
L’Europa sognata a Ventotene era un’Europa federale, in cui tutti gli stati membri si
sarebbero dovuti impegnare in una lotta costante alla disuguaglianza ed ai privilegi sociali, e, per
aderire, avrebbero dovuto rispettare e difendere i diritti fondamentali dell’uomo. Un’adeguata
istruzione che raggiungesse gli strati più poveri della popolazione, la formazione di una vita
economica comune “liberata dagli incubi del militarismo e del burocratismo nazionali”, il supporto
ad una classe operaia finalmente liberata dall’oppressione di politiche economiche sempre più
spietate avrebbero dovuto costituire le basi imprescindibili di questo nuovo sistema. Nel ’43
Spinelli fondò il Movimento Federalista Europeo, un’organizzazione politica autonoma ancora oggi
esistente attraverso la quale si impegnò, fino alla fine dei suoi giorni, nel tentativo di applicare
quanto aveva sognato, pensato e scritto a Ventotene.
L’Europa, un’occasione di riscatto per molti
Se in passato l’Europa era un’utopia, un ideale al quale tendere e per cui combattere, ora che
l’Europa è una realtà concreta, tangibile e quotidiana (ogni volta che paghiamo qualcosa, ci
spostiamo, mangiamo determinati cibi di fatto abbiamo a che fare con l’Unione Europea); ora che
diamo per scontati alcuni privilegi che, in quanto cittadini europei, abbiamo ma anche che
prendiamo in considerazione correttivi da apportare ad una struttura che si è rivelata in alcuni casi
poco attenta alle esigenze dei più deboli; ora che siamo più severi con l’Europa, a volte delusi dagli
inevitabili risvolti negativi che una realtà così giovane e plurale abbia avuto, ora l’Europa è ancora
un sogno per qualcuno.
Tantissime persone che fuggono in cerca di condizioni di vita migliori vedono nell’Europa quel luogo di trionfo dei diritti umani che era nelle menti e nelle intenzioni dei Padri Fondatori. L’Europa costituisce per moltissimi una possibilità di riscatto e di salvezza tale da affrontare viaggi pericolosissimi, da rischiare la morte, da subire torture e sofferenze indicibili: stando ad un dato dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) i rifugiati in Europa sono 5.2 milioni.
Il momento di aprire gli occhi
In una raccolta di scritti pubblicati dall’ European Cultural Foundation intitolata Il rimpicciolimento
dell’Europa-Prospettive da Balcani, Bielorussia, Medio Oriente ed Asia compaiono le parole emblematiche di Shreela Ghosh (attrice e reporter indiana, trasferitasi in Inghilterra con la famiglia
a 11 anni): “Profondamente segnati dalle due guerre mondali del ventesimo secolo gli Europei
dovrebbero conoscere una o due cose riguardo al migrare ed al pericolo di perdere la propria vita.
Perché allora quest’amnesia collettiva? […]. Non importa come siano arrivati su queste coste, con
le loro storie tutte diverse e le diverse tradizioni culturali, la maggior parte di queste persone
probabilmente si imbatteranno nello stesso destino: saranno spogliati della loro dignità e della
loro identità dall’Europa: negato l’ingresso nei porti, saranno “trattenuti” in centri di detenzione
[…]. Cosa è successo ai valori europei? Dove sono la tolleranza e la compassione che l’Europa ha
dimostrato verso milioni di rifugiati e richiedenti asilo in passato? Quando impareremo che il l
mondo è più interconnesso ora che mai?”
Guardandosi intorno, a volte, è inevitabile chiedersi dove sia finita quell’Europa dell’apertura e
della libertà che era stata sognata all’inizio e che era sorta dalle ceneri di un’epoca disperata di
chiusura, separazione e violenza: un‘Europa accogliente e senza confini che tante persone cercano
partendo ogni anno, ma che si rivela spesso lontana da quella che è una realtà di muri, barriere e
confini con la quale spesso amaramente si devono confrontare. È proprio nell’allontanarsi dagli
ideali dai quali è sorta che l’Europa fallisce, soccombe e viene fagocitata dagli egoismi nazionali e
dalla politica della “chiusura” a tutti i costi. Un’ Europa troppo snaturata e lontana da quel sogno
dei Padri Fondatori non può durare a lungo: eventi come la Brexit ce lo dimostrano. Dove cercare
allora l’antidoto, la cura che allontani la fine dell’Europa se non nelle sue origini?