Gaetano Pecoraro, inviato de “Le Iene”, presenta il suo primo romanzo “Il male non è qui. Matteo Messina Denaro. Il romanzo”, edito da Sperling&Kupfer, alla decima edizione di Passaggi Festival nell’ambito della rassegna Music&Social,  circondato dalle imponenti mura romane della città di Fano e dal suo iconico Arco d’Augusto. Il giornalista grazie alle mirate domande della sua intervistatrice, la psicologa e criminologa Flaminia Bolzan, illustra al pubblico il contenuto del suo libro attraverso aneddoti inediti. Pecoraro dichiara inoltre di aver voluto delineare le caratteristiche del cosiddetto “fantasma” (ovvero Matteo Messina Denaro) per esortare la popolazione italiana ad avvicinarsi a questi temi dal momento che la mafia continua ad essere presente nella vita della nostra Repubblica.

“Il male non è qui. Matteo Messina Denaro. Il romanzo.”

“Il male non è qui. Matteo Messina Denaro. Il romanzo.” è tratto dalla conversazione ininterrotta fra Gaetano Pecoraro e un magistrato che, affiancato dalla sua squadra investigativa, per più di dieci anni ha cercato di catturare Matteo Messina Denaro. In questo romanzo vi sono tre fili principali che muovono la trama, quali gli intrighi di palazzo, la violenza e l’amore. Tuttavia, è bene precisare che ogni avvenimento narrato non sconfina mai nel fantascientifico o nel romanzesco perché, ad eccezione di alcuni passaggi frutto della fantasia dell’autore, sono tutti fatti attinti da testimonianze dirette e affidabili raccolte attraverso le interviste fatte dall’autore stesso. Il protagonista è Mimmo Bosso, un magistrato che si ritrova ad esercitare la sua professione in Sicilia per pura casualità, non aveva alcun tipo di velleità eroiche. Qui però diventa una vera eccellenza della magistratura italiana, tanto che viene soprannominato “il signore degli ergastoli”. Tuttavia, nonostante ciò, ogni qualvolta si trattasse di catturare Matteo Messina Denaro si rivelava un giudice mediocre e scontato, le cui strategie risultavano inevitabilmente prevedibili. Questo fino al momento in cui comprende che le carte della partita che stava giocando erano truccate.

L’urgenza del romanzo

“Parlare di lui significa parlare delle pagine più buie della repubblica italiana”

Questo afferma Gaetano Pecoraro riferendosi a Matteo Messina Denaro. Egli è l’ultimo uomo di cosa nostra che può sapere e raccontare dell’agghiacciante periodo delle stragi che l’autore stesso ha vissuto nella sua prima infanzia, quando viveva a Palermo. A suo parere è doveroso in questo periodo ricordare che il fantasma è in libertà, a differenza di quanto fanno i politici agli alti vertici che con i loro discorsi retorici sull’operato dei giudici Falcone e Borsellino propinano la falsa verità che la mafia sia stata sconfitta. Infatti, è stato proprio il rapporto incestuoso fra stato e mafia a portare a tantissime morti. Dunque scopo del romanzo, afferma Pecoraro, è anche questo, spiegarsi i perché.

Matteo Messina Denaro, il fantasma crudele

Nasce nel 1962, ma già nel 1997 fa perdere ogni sua notizia. Di lui non si hanno foto recenti, non si conosce la voce, è un vero e proprio fantasma. È il ricercato italiano per antonomasia nel mondo, eppure oggigiorno la sua storia risulta più celebre all’estero che nel nostro Paese. Gaetano Pecoraro tenta con il suo romanzo di delineare alcune caratteristiche sia della sua vita sia della sua indole, mettendo in evidenza soprattutto il suo aspetto di uomo e meno quello di mito malvagio che ha assunto negli anni. Infatti, è un essere umano come tutti noi che però ha deciso di intraprendere la strada del male. Da bambino amava scorrazzare per Castelvetrano, il suo paesino d’origine; da ragazzo aveva una cura maniacale per i vestiti e amava usare macchine vistose. Fino all’età di venti anni, quando ancora non era ricercato, i suoi amici raccontano che faceva abitualmente aperitivi in loro compagnia al bar e che fra un cocktail e l’altro meditasse i suoi piani delittuosi, come spargere siringhe infette di hiv-aids o posizionare bombe. Dunque ogni atto spiccatamente crudele è in realtà associato a un atto spiccatamente umano. Questo risulta essere una costante non solo nella mafia siciliana, ma proprio all’interno della sua famiglia tanto che, come racconta Gaetano Pecoraro, il padre don Ciccio, capo indiscusso della mafia trapanese e colui che affiderà Matteo Messina Denaro a Totò Riina, al momento del parto e della nascita del figlio sviene per il troppo sangue. Ecco che un uomo responsabile quasi ogni giorno di morte, il boss sanguinario, non riesce a resistere alla vista del più tipico atto secondo natura.

I luoghi del racconto

Nel romanzo, come fa notare l’intervistatrice Flaminia Bolzan, i nomi delle città sono fittizi, o meglio, vengono indicati solamente con le iniziali. Questo, spiega l’autore, era già stato fatto da Sciascia, ma la sua ripresa non vuole essere una citazione del celebre scrittore, quanto più un espediente per non legare le storie ai luoghi. Pecoraro desidera rendere le azioni dei personaggi universali, perché avvengono o potrebbero avvenire in qualsiasi luogo del mondo. Con le sue descrizioni Pecoraro cerca di portare i lettori a percepire le stesse sensazioni che quelle località hanno suscitato in lui quando vi si è recato per le interviste dei parenti prossimi al boss mafioso.

Perché il genere del romanzo?

Le motivazioni della scelta di questo genere letterario per narrare la storia del più celebre ricercato al mondo sono sostanzialmente due. Poco tempo fa è uscita una fiction su questo personaggio. Pecoraro è certo che questa sia molto più vicina al pubblico, ma si augura che chiunque rimanga incuriosito da quest’ultima e desideri approfondire l’argomento, legga il suo libro. Ma, soprattutto, la scelta del romanzo nasce da questo bisogno: quella di Matteo Messina Denaro è una delle storie con più omissis che vi siano.  Vi erano informazioni che l’autore aveva raccolto, ma che non potevano tuttavia  essere dimostrate con prove concrete. Così il romanzo risultava la forma migliore per esprimere quelle informazioni di cui come disse Pasolini “non ho le prove, ma so”.

Il tallone d’Achille

Matteo Messina Denaro pur essendo il “figlioccio” di Totò Riina, si differenzia notevolmente da quest’ultimo sotto un particolare aspetto: le donne. Per Riina infatti la donna era una, unica e sola, per tutta la vita; questo non tanto per altissimi valori morali o affettivi, quanto più per una questione di necessità. In questo modo nessuna donna avrebbe mai rivelato informazioni su di lui. Al contrario, per il suo successore le donne sembrano essere un qualcosa di imprescindibile e incontrollabile. Tuttavia, la sua passione per le donne è anche il suo tallone d’Achille dal momento che più e più volte ha rischiato di essere catturato per colpa di qualcuna di loro. È per questo motivo che Gaetano Pecoraro ha deciso di fare delle donne uno dei motori principali della trama del suo romanzo.

Abuso d’ufficio mafioso

Pecoraro durante la sua intervista racconta questo episodio per far comprendere meglio al pubblico il concetto di abuso d’ufficio mafioso. Quando Matteo Messina Denaro era giovane e ancora irrilevante per le indagini della polizia, trascorse alcuni giorni in un hotel dove lavorava una bellissima cameriera austriaca. Qui nello stesso periodo lavorava anche Nicola Gonzales in qualità di vice direttore che fu ucciso con tre colpi di pistola senza saperne il motivo. L’indagine venne inizialmente archiviata, ma quando a distanza di anni venne riaperta, si scoprì che la sua morte era dovuta al fatto che aveva insidiato la fidanzata di Matteo Messina Denaro, cioè la cameriera austriaca sopra citata. Aveva usato la mafia per i suoi interessi personali, aveva piegato le azioni della mafia alla sua utilità. Fino ad oggi, è l’unico ad aver avuto tanto carisma da poter fare qualcosa di tal genere.

 

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