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di Chiara Scarafiotti

(ispirata dalle isterie di massa viste in questo periodo)
Dove si narra di una Guerra lunga cent’anni, di un’isteria collettiva causata dalla paura e di una diciannovenne, probabilmente schizofrenica, che si riteneva mandata da Dio.

Era l’ora del Vespro e la ragazzina stava pregando, come tutti i giorni, nel cortile dell’abitazione dei genitori. Sentiva parlare gli adulti e non capiva perché fossero così preoccupati. C’era stata prima la guerra tra Francia e Inghilterra, poi quella tra i vassalli francesi e il nuovo sovrano inglese e ora di nuovo tra Francia e Inghilterra, si trattava di una contesa che vedeva il prevalere, dell’uno o dell’altro schieramento, ad alterne vicende.
Un conflitto che durava da decenni e le sembrava, ormai, la normalità.
“Sono tanti anni che c’è questa situazione! Perché sono così preoccupati proprio ora?” si chiese.
Lo comprese poco dopo, quando il padre le si avvicinò e, con voce concitata, le disse: «Prepara le tue cose, dobbiamo partire. Stanno arrivando gli Inglesi». Con queste poche parole la sua vita mutò, dovette lasciare la casa dove era nata e cresciuta, le amiche, la Chiesa del villaggio e gli anziani che giornalmente accudiva.

Aveva sedici anni, quel giorno del 1428 in cui la famiglia si trasferì a Neufchâteau. “La guerra è una brutta cosa” pensava, mentre, in viaggio verso la nuova dimora, osservava la distruzione dei villaggi attraversati.
I conflitti generavano vedove e orfani, spesso i soldati compivano saccheggi e violenze, eppure… ciò che la ragazza vedeva intorno a sé era, soprattutto, l’atteggiamento isterico della gente comune e la preoccupazione egoistica di accaparrare per sé quanto più si poteva: cibo, vestiario, animali da cortile. La popolazione, allo sbando per i decenni di guerra, di paura e di epidemie ricorrenti, era come impazzita e non seguiva più i principi della carità cristiana, ognuno pensava solamente a se stesso.
Il mondo di persone perbene che la fanciulla aveva conosciuto nei suoi primi anni, era degenerato, mutando in un insieme di egoistici individualismi. Tutto a causa di quella stupida guerra. Nemmeno i suoi genitori, pur cristiani devoti, mostravano interesse verso altri che non fossero i propri cari.
«Nemo potest duobus dominis servire» diceva spesso il Parroco del villaggio in cui era nata, quando le spiegava che, affidandosi a Dio, l’uomo ne diviene paladino e non potrà servire altri che Lui.

Lei era una contadina ignorante, ma desiderava, con tutta se stessa, porre fine allo sfascio che la circondava. Anche le “voci” le suggerivano di agire. “Agire? Sì ma come?” pensava, ma non trovava risposte.
Infine comprese. Avrebbe dovuto parlare con qualcuno di importante, ma non sapeva chi e come raggiungerlo. Le “voci”, che sentiva ormai da qualche anno, le indicarono la via. Lei era stata scelta da Dio per liberare la Francia, le “voci” glielo ripetevano da tempo ormai: avrebbe dovuto parlare con il Delfino, consacrato nella religione, per comunicargli il messaggio che Dio le aveva inviato tramite arcangeli e santi.
La diciassettenne contadina, animata dalla sua convinzione di avere ricevuto l’investitura direttamente dal Signore, si mise in viaggio. Lungo la strada coinvolse nella sua missione molte persone, che la seguirono fiduciose ritenendola la loro ultima speranza. La popolazione era sfiancata e disillusa dalla guerra e si convinse che quella ragazza, benedetta da Dio, rappresentasse l’unica chance per un futuro pacifico. Anche la loro fu una sorta di follia collettiva, di quelle che ti convincono a prestar fede a sette e rendono preda di isterie.

Un anno dopo il suo trasferimento a Neufchâteau, e dopo avere percorso mezza Francia a piedi con un seguito sempre più numeroso, Jeanne fu miracolosamente ammessa al cospetto del Delfino e da lui ascoltata. Lo convinse a tal punto che la pose a capo del suo esercito. Lei non si scompose e accettò, dopotutto era stata prescelta da Dio per riportare il legittimo sovrano sul Trono di Francia. Indossando solo una leggera armatura e portando una spada più grande di lei Jeanne si lanciò nelle battaglie, brandendo uno stendardo con immagini sacre. Lei poté dove nessun Generale era riuscito in tanti anni, rimise in sesto l’esercito imponendo una disciplina di estremo rigore, nessun peccato carnale fu più (forse sì, ma non è dato di saperlo) commesso dai soldati e il digiuno e la preghiera divennero le regole di vita tra gli uomini dell’esercito di Carlo.
Come effetto collaterale l’amore della popolazione per Jeanne aumentò a dismisura perché nessun soldato, grazie a lei, avrebbe più rubato, saccheggiato e violentato.

Nell’anno del Signore 1429 la follia di una ragazzina che sentiva le “voci” divenne la ragione del successo di un’armata allo sbando. Carlo VII venne, infine, incoronato Sovrano di Francia. Tuttavia si sa come finì la storia, uomini rancorosi di essere stati comandati da una ragazzina ignorante, a loro volta desiderosi di potere, fecero in modo che fosse catturata dagli Inglesi e manipolarono la legge dell’epoca per instaurare un processo per eresia. L’abbigliamento maschile di Jeanne, le sue serene dichiarazioni di aver preso ordini direttamente da arcangeli e santi mandati da Dio e le sue risposte ironiche, talvolta sarcastiche, date ai giudici durante il processo, la fecero condannare.

Jeanne D’Arc morì sul rogo il 30 maggio 1431, vittima di un maschilismo imperante da secoli …e non ancora terminato. Una folle ragazzina diciannovenne che, superando la stupidità generata dalla guerra e superando le isterie e gli egoismi generati della paura, aveva creduto di poter salvare la Francia e, per un tratto della sua breve vita, lo fece. Una ragazzina, probabilmente schizofrenica, che riuscì, con le parole e il proprio esempio, a infondere vigore e coraggio ai soldati francesi. Una follia generata da buone intenzioni, quella di Jeanne, tuttavia inadeguata all’epoca in cui lei visse e morì. Come inadeguata fu lei stessa, una giovane intraprendente, che vestiva come un uomo e si faceva obbedire dagli eserciti. A quei tempi una così… solo sul rogo poteva finire.

E l’altra follia? Quella delle isterie collettive? Quella delle reazioni incontrollate a notizie più o meno allarmanti? Quella dei saccheggi dopo un evento catastrofico? Quella del riempire i carrelli del supermercato come se non ci fosse un domani? Quella di riempire di plastica gli oceani, tanto non è un problema mio?
Quella è sempre tra noi, non credete? È la follia dell’uomo, generata dalla paura dell’ignoto, dall’egoismo imperante e dalla stupidità.

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