“Quel ramo del lago di Como d’onde esce l’Adda”. Così il 24 aprile di quasi due secoli fa Alessandro Manzoni stendeva quelle prime righe che avrebbero formato l’incipit di una delle opere più grandi della Letteratura Italiana, I Promessi Sposi. Correva l’anno 1821 e Manzoni stava portando a compimento l’Adelchi, una tragedia che aveva come sfondo storico un’Italia longobarda assediata dall’esercito franco di Carlo Magno.
Durante la stesura della suddetta opera però l’autore si rese conto che per esprimere al meglio la sua poetica, la quale intendeva realizzare il vero come oggetto, aveva bisogno di un nuovo genere letterario che gli consentisse di adempiere a questo fine. Ecco che, dunque, nacque la prima redazione del celeberrimo romanzo manzoniano, il quale ebbe all’epoca il titolo, poi modificato, di Fermo e Lucia.
L’opera fu successivamente corretta nel 1824 e vide la sua prima pubblicazione nell’anno 1827, con il famoso titolo de I Promessi Sposi, redazione nota anche con il nome di Ventisettana.
Un’opera saggistica in fase di elaborazione
L’edizione del Fermo e Lucia differiva completamente da quella della Ventisettana. La prima infatti si presentava più come un saggio nel quale prevaleva un tono polemico e a cui si accompagnava una documentazione storica. Questa differenza tra le due edizioni si stagliava anche dal punto di vista linguistico.
Manzoni puntava, infatti, a raggiungere un pubblico vasto e, per adempiere a questo scopo, si servì di una lingua formata da una base di toscano letterario e arricchita da termini derivanti dal linguaggio parlato appartenenti alla lingua francese e al dialetto milanese.
La tappa intermedia della Ventisettana
Con la redazione della Ventisettana, invece, l’autore decise di orientarsi esclusivamente dal punto di vista linguistico verso il toscano parlato dalle persone colte. Intraprese quindi una lenta e minuziosa operazione di sostituzione riguardante i vocaboli e le espressioni convertite dalla lingua milanese a quella toscana.
Manzoni, tuttavia, non rimase soddisfatto della revisione effettuata e decise di rimettere mano al testo che sarebbe approdato alla sua versione definitiva, la Quarantana.
La Quarantana e il genio linguistico manzoniano
Pubblicata sotto forma di dispense, dal 1840 al 1842, l’edizione detta Quarantana è considerata non soltanto una semplice revisione del romanzo, bensì la concretizzazione di una fortunata teoria linguistica.
Per mezzo di essa Manzoni trovò la soluzione definitiva alla questione linguistica, che proprio in quegli anni, era oggetto di dibattito presso gli intellettuali italiani.
L’autore ritenne che quella da impiegare nelle opere letterarie non era la parlata inconsueta degli autori trecenteschi e cinquecenteschi, bensì una lingua viva e utilizzabile sia nella letteratura sia nella vita sociale; in particolar modo Manzoni indirizzò la sua scelta nel fiorentino colto, il quale era usato in quegli anni a Firenze dalle classi medio-alte della popolazione.
Un classico intramontabile: i Promessi Sposi
Da quel lontano 1842, I Promessi Sposi divennero un classico della Letteratura Italiana e fu presto inserito nei programmi scolastici; tutti noi, infatti, sui banchi di scuola ci siamo ritrovati di fronte a qualche passo tratto dalla celeberrima opera manzoniana. La sua fortuna non deve essere soltanto considerata in base alla vicenda scritta dall’autore, bensì il romanzo deve essere preso in considerazione anche e soprattutto dal punto di vista linguistico.
Revisionando pezzo dopo pezzo quest’opera, Alessandro Manzoni è stato capace di contribuire all’evoluzione e alla formazione della lingua italiana come oggi noi la conosciamo.
Non sbagliano quindi gli studiosi di Storia della Lingua nell’affermare che l’italiano parlato ai giorni nostri è figlio più del genio manzoniano che di quello dantesco, in quanto la realtà su cui Manzoni fonda la sua teoria linguistica è concretamente più vicina alla nostra.
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