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di Lucia Paolucci

 

Sono con i piedi sull’uscio.
Forse, oggi esco di casa per la prima volta da un po’. Entrambi i piedi sono sull’uscio e non sanno se proseguire oppure se tornare indietro. Dentro.
Ho il pomello della porta ancora in mano e la porta l’ho aperta io da dentro. Sbirciando fuori non vedo passare nessuno, dall’uscio aspetto e intanto guardo il rumore di un vicino che non vedo.

Oltre quella che sembra essere la mia porta non c’è marciapiede ma subito sanpietrini, che un po’ arrotondati agli angoli sono sconnessi lungo tutta la via. Com’è sentirli sotto la suola delle scarpe che ancora non ho indosso? La mia è una vecchia strada del centro, corta e stretta, con le case gettate direttamente a destra e a sinistra della via. Le case non sono alte uguali e così, da una parte di un tetto più basso, s’intrufola una linea di luce naturale che lì, sull’uscio, riscalda il mio piede destro dopo poco che aspetto.
Ho voglia di attraversarla quella linea e vedere se al di là ne troverò delle altre lungo la via, e il sole. Oggi è il primo giorno di primavera e da qualche parte si dovrà pure sentire.

Se esco i miei piedi poggiano piano sui sanpietrini: tasterei due pietre e mezzo con un piede, una pietra sola con il tallone. Ne scelgo una terza solo con la punta. Tra i sanpietrini noto delle tracce di verde di tanto in tanto, che possono essere qualche tipo di pianta colonizzatrice venuta da chissà dove spostata dal vento e che abbia attecchito lì, atterrata nell’interstizio tra i sanpietrini. Cerco di non pestare quel fiato di verde ma solo le pietre.
La mia strada è corta e tra un po’ finisce là. Ecco, ancora niente sole e laggiù in fondo c’è il muro in mattoni di una casa con neanche una porta. Le mie possibilità finiscono in un vicolo cieco.

Ma quando mi avvicino per vedere meglio, la strada in realtà non è del tutto chiusa dal muro di quella casa senza porta: un filo di luce sui sanpietrini sembra fare intravedere che il piano sì, finisce, ma a destra del muro in basso i sanpietrini continuano in uno stradino scosceso e stretto, di quelli in cui una volta dovevano passare solo i cavalli e ora, magari, le persone a piedi con le buste della spesa in mano, una distante dall’altra.
Adesso nessuno. Solo un rigagnolo d’acqua scende in mezzo alla via ed è forse lo scolo.

E dal nulla bambini escono dalle case a giocare: tutto ad un tratto, fuori tutti. Nello stradino si salta da una parte all’altra del rigagnolo, i bambini si schizzano l’acqua, fanno navigare barche di carta o oggetti di plastica improvvisati qualsiasi. Non c’è preoccupazione alcuna, non una.
Buttate, buttate tutto quello che vi pare, sì, anche la plastica giù nella corrente. Giocate. Autorizzatevi da soli e godetevela. Voi dovete crescere e potete, provate con questo e quello, provate la qualunque. Correte correte, schizzatevi, scivolate, cadete, rialzatevi sporchi. Come degli esseri liberi.

Quando apro gli occhi ho ancora il pomello della porta in mano. Guardo i miei piedi e non ho mai messo le scarpe. Sono sull’uscio. Non sono uscita, ancora.


Lucia Paolucci ha scritto monologhi, performance e racconti poetici. Quando si occupa di non-fiction, esercita la libera professione di avvocato. Ha studiato scrittura alla Scuola Holden di Torino, diritto commerciale internazionale al International Training Center dell’ILO, giurisprudenza all’Università di Bologna e al Trinity College di Dublino, Irlanda. A 36 anni si considera una felice migrante interna di ritorno, avendo lavorato da quando ha 24 anni a Bologna, poi a Torino e da 3 a Pesaro, sua città di origine.

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