di Luigi De Palo
Una terra arida e un caldo impetuoso erano ormai i suoi unici compagni da settimane. Non era solo, ma sicuramente non aveva le forze per proferire parola con i suoi commilitoni.
Davanti ai suoi occhi solo sabbia, desolazione, avvoltoi e morte. Marciavano senza mai fermarsi, marciavano perché fermarsi significava soccombere ai Numidi che alle loro spalle sembravano non sentire il caldo, avanzando inesorabili e insaziabili, figli di queste terre disperate, come leoni pronti a balzare sulle antilopi ormai sfiancate.
Passarono altri due, tre giorni. Le truppe ormai procedevano in formazioni disordinate, diversi erano caduti sul campo, alcuni per colpi di calore, altri per disidratazione. A un certo punto un miraggio, anzi una miracolosa realtà: davanti a loro erba, acqua, un’oasi! Alcuni si chiesero se quello che vedevano fosse reale o se invece erano ormai arrivati ai campi elisi. Ma alla maggior parte non interessò. Presi da un furore che trasudava disperazione lasciarono a terra le armature, le armi e si lanciarono verso quella speranza verde. Flavio invece rimase a guardare, estasiato da quella vista ma al tempo stesso frenato dal pericolo che procedeva alle loro spalle e dal timore di una trappola. Guardò i suoi comandanti, eppure anche loro, splendidi nella loro armatura ma distrutti nell’anima, apparivano ammutoliti e incerti sugli ordini da impartire.
All’improvviso la tragedia. Migliaia di africani sbucarono fuori dall’oasi e irruppero sui nemici. Altri Numidi arrivarono da dietro accerchiando i Romani. Molti furono colti di sorpresa e sgozzati, altri tentarono inutilmente di recuperare le loro armi. Flavio con la sua daga in mano cominciò a combattere. Insieme a pochi uomini e al suo fidato amico Claudio riuscirono a respingere il primo gruppo di nemici che era giunto alle loro spalle, ma sapevano che il grosso doveva ancora arrivare. L’unica speranza era quindi quella di affrontare i Numidi presenti nell’oasi, una mossa disperata ma inevitabile.
All’oasi la situazione era terrificante. Sangue dappertutto. Erano rimasti pochi soldati valorosi a combattere. Flavio insieme ai suoi uomini li raggiunse appena possibile, dando la carica alle forze romane. Il primo a cadere fu proprio Claudio, trafitto da una lancia. Questo diede nuovo vigore a Flavio, ma i Numidi erano troppi ed inoltre conoscevano alla perfezione quello spicchio di paradiso che si era rivelato essere un vero e proprio inferno.
I Romani cominciarono a cadere come mosche, alcuni decapitati senza pietà, altri trafitti dalle lance nel furore del combattimento. Flavio continuava a mulinare la sua daga con impeto, completamente sporco di sangue e polvere con l’armatura danneggiata che lasciava scoperti punti nevralgici, era consapevole che sarebbe morto ma almeno avrebbe portato con sé diversi nemici e onorato la memoria del suo amico.
Rimasero solo in sei. Furono accerchiati, il nemico pressava, mentre l’ultima resistenza passò alla celebre formazione a testuggine. I Romani iniziarono così a difendersi valorosamente, appena potevano provavano anche a rispondere a qualche colpo, ma alla fine i Numidi presero il sopravvento e tutto diventò nero.
Flavio si risvegliò sudato. Subito si ricordò della battaglia ma non capiva dove si trovava. Davanti a lui vedeva solo del verde e in lontananza gli pareva di sentire anche delle ragazze cantare. Era ancora nell’oasi? Ma dove erano finiti i nemici e perché non era morto? Non era neanche dolorante e non gli sembrava di avere alcuna ferita, nonostante si ricordasse di essere stato colpito più volte. Anche l’armatura risultava essere intonsa, come se fosse stata appena forgiata, nonostante invece ricordasse di essere stato colpito più volte. Si mise quindi in piedi e con la daga in mano uscì dalla vegetazione. Quello che vide non fu il deserto ma dolci colline e vigneti.
A pochi passi da lui, Claudio, anche lui confuso e con la daga in mano. Claudio come Flavio non presentava i segni della battaglia, anzi se non fosse stato per l’abbigliamento militare sembrava che fosse appena uscito dalle terme.
Si guardarono. Flavio toccò Claudio nel punto in cui in teoria era stato trafitto dalla lancia e invece non c’era nulla. In quel momento ad entrambi fu tutto chiaro. Si misero a ridere e insieme si avviarono verso l’orizzonte.
Luigi De Palo è laureato in Lettere con specializzazione in Scienze Archivistiche e spera un giorno di poter fare della propria passione un lavoro. E’ un ascoltatore seriale di musica, in particolar modo di punk-rock, nel tempo libero fa sport ed esce con il cane “maturando al tempo stesso -ci racconta- una passione per la lettura, scrittura e i videogiochi”.