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di Luigi Guidi

 

S’incontrano a metà strada, nel vento della campagna padovana, dove si erano conosciuti casualmente l’anno prima pranzando in una rustica trattoria. Dopo tre ore di pullman, lei, per sgranchirsi le gambe indolenzite, era scesa correndo a perdifiato, offrendo la sua prorompente vitalità alla sferzante carezza del vento primaverile che le scompigliava i lunghi capelli corvini in risalto sullo sfondo di un campo di papaveri. Il vento spirava forte e nella foga della corsa le era volato via il foulard debolmente allacciato intorno al collo.
Lesto lui l’aveva raccolto.
Ora, l’ultimo venerdì del mese, reprimendo a stento il senso di disagio che pervade entrambi al momento del commiato dalle rispettive famiglie – disagio che rasenta la colpa più che la trasgressione – prendono il treno della linea Milano-Trieste e scendono a Padova, volando l’uno nelle braccia dell’altra, a riprova di un sentimento sincero e profondo e, sperano, duraturo. Davvero si sentono innamorati e mai in loro li sfiora il pensiero o si insinua il dubbio che il rapporto fatto di ardore, passione e tenerezza, possa un giorno incrinarsi o troncare del tutto.

Mi sei mancata moltissimo!” dice lui sollevando con la mano la borsa da viaggio e lei lo prende a braccetto quasi voglia rassicurarlo e proteggerlo.
Come mai porti ancora il cappello? Ormai è Primavera, siamo a marzo” osserva lei.
A differenza di te che lo cerchi, io lo soffro il vento, lo sai…“- si giustifica lui.
Poi tacciono entrambi, rammentandosi che nel loro mutuo accordo si sono ripromessi di non gravare il compagno del peso delle rispettive situazioni familiari. Lui fa intendere alla moglie di recarsi a Padova una volta al mese per visionare la contabilità della filiale della società per cui lavora, lei sa per certo che il severo e geloso marito non dubiterà della visita mensile alla sorella poliomielitica abitante nella città veneta.
Escono dalla stazione e si avviano verso la fermata dell’autobus che dovrebbe condurli fuori città ma all’ultimo momento cambiano idea e si infilano in un bar.

Mentre aspettano le consumazioni – un tè per lei e un caffè americano per lui – l’uomo sorride compiaciuto per la conquista della “triestina” – una trentenne estroversa, dinamica, dalla conversazione graffiante e dalla passione travolgente, una donna determinata, convinta dei suoi comportamenti, innamorata della vita, da lei interpretata come una lotta continua fino al cessare dell’esistenza. Per la sua concezione tutte le passioni percorse nella vita devono approdare a un traguardo finale e che questo traguardo consista nel successo, nel denaro, nel potere o in un credo religioso o filosofico, l’importante è perseguirne almeno uno.
Manager affermato lui – sebbene con il corollario delle vessazioni di superiori arroganti – docente universitaria di letteratura germanica lei, suscitatrice di invidie di colleghe culturalmente meno dotate – hanno raggiunto in meno di un anno un’armoniosa intesa di idee e sentimenti, di concezione attiva dell’esistenza, dall’accettazione razionale del quotidiano alla fantasiosa lungimiranza dell’avvenire, coltivando e alimentando positivamente la loro unione.

Fin dal primo convegno amoroso si erano stupiti per l’impegno profuso e per la ferma decisione di continuare a vedersi e a frequentarsi. A determinare questo miracolo fu la reciproca lealtà, dichiarando subito il loro stato sociale. “Non sono libero” aveva detto lui in tono mesto al secondo piatto di portata in quella trattoria rustica. Lei era scoppiata in una risata cristallina: “Nemmeno io, ma possiamo intenderci!” e gli aveva fatto l’occhiolino.
Amano la musica, le buone letture, i lunghi silenzi che la campagna padovana a tratti ancora offre nelle desolate lande periferiche della sua vasta estensione, luoghi isolati che gli amanti prediligono e cercano come entusiasti archeologi. Solo si rammaricano dell’esiguo tempo loro concesso di stare insieme. Ma forse, paradossalmente, è proprio la limitatezza della loro frequentazione a ravvivare prima, alimentare durante e cementare alla fine il loro rapporto. Escono dal bar e guardano ammirati la basilica di Sant’Antonio, della cui imponenza non sono mai sazi. Poi si incamminano sotto i lunghi portici.

Che programma hai oggi?” chiede lui. Ma prima che lei risponda, lui la previene con una seconda ardita domanda: “Vuoi fare subito l’amore o preferisci prima cenare?
Lei lo sogguarda con una scaltra occhiata misurando con intuito femminile l’intensità e la portata della eccitazione di lui – “Se dopo un anno ancora mi desidera e lo rilevo dalla bramosia del suo sguardo –riflette fra sé e sé – o è ancora innamorato o è il segnale di un’incrinatura profonda con la moglie”. “Meglio farli sospirare gli uomini – le aveva consigliato la saggia madre al tempo dell’adolescenza – ricordati che nessun sospiro d’amore ha mai ucciso uno spasimante”.
Ho un certo pizzicorino allo stomaco” civetta lei quasi a giustificare il momentaneo rinvio del rapporto amoroso. “Se non hai nulla in contrario” conclude con un impercettibile senso di colpa.
Il solito locale a lume di candela dove nessuno ci conosce?“suggerisce lui, roso dall’impazienza di stenderla su un letto. “No, oggi ho un’idea migliore, andiamo al Pedrocchi“.

Lì, nell’atmosfera ottocentesca di un caffè ormai in decadenza, centro di ritrovo un tempo famoso per il bel mondo che lo frequentava, per gli incontri letterari che vi avvenivano, per le cospirazioni anti-austriache che si ordivano, lei consuma un veloce e frugale pasto, sorseggia un leggero e aromatico vino bianco, indi trascina il suo uomo nell’appartato casolare che un’amica single le ha lasciato a disposizione per il week-end.
Si amano l’intera notte alternando momenti di sfrenata passione a pause di gioiose tenerezze, finché esausti si adagiano l’uno a fianco dell’altro, intrecciandosi affettuosamente le mani.
Vorrei restare così per sempre, fermare l’attimo fuggente, non pensare più a nulla e perdermi in un abbandono totale” sussurra lei. “Lo stai già facendo per me” esclama lui visibilmente commosso e appagato da tanto sincero trasporto amoroso della compagna. “Non devo pretendere troppo dal destino” commenta lei “già considero un miracolo esserci conosciuti, frequentati e amati“.

Lei gli scarruffa i capelli fra i quali già s’intravedono alcuni fili grigi ma si astiene dal farglielo notare non volendo con un’osservazione indelicata infrangere il magico momento instauratosi fra loro. Qualsiasi parola suonerebbe inopportuna, qualsiasi commento fuori luogo. Stanno vivendo un tempo tutto loro, strappato con le unghie e con i denti alle loro tediose esistenze, quasi abbiano avuto il potere o il permesso da forze superiori di fermarlo. Al di fuori la vita può terminare per un conflitto nucleare o perdurare all’infinito con tutto l’apporto di Bene e di Male di cui è contenitrice, ma ciò non li scalfisce e a loro non importa. Hanno raggiunto il massimo vertice dell’amore, ebbri di vivere attimi di felicità sì fugace, ma al contempo entrambi consapevoli nell’intimo che nessuno dei due difficilmente assaporerà tanta felicità con qualsiasi altro partner del mondo. E questo amore inseguito e realizzato e pienamente vissuto con la consapevolezza convinta di due adulti, è un dono supremo da conservare a lungo e difendere a oltranza dato che non si ripresenterà mai più. Lei si stira voluttuosa, si alza, scende dal letto, tira le tendine, apre la finestra e scosta le gelosie. Una folata di vento la investe in pieno viso e lei si ritrae rabbrividendo.

Lo senti il vento? Ci fu testimone quando ci conoscemmo, e adesso è ancora qui a suggellare il nostro legame
Non cadere nel sentimentalismo retorico” la redarguisce lui benevolmente nel mentre, alzatosi, le arriva alle spalle cingendola con le braccia. Un’ora più tardi sono alla stazione.
Si guardano, consapevoli dello sforzo di governare al meglio la loro relazione –purtroppo lontana da una rapida soluzione – inficiata dalla mancanza di coraggio di entrambi di svincolarsi dai loro legami famigliari.
Lei, maritata al presidente delle Assicurazioni Generali, maggiore di età di 14 anni, pur priva di figli, non riesce a rinunciare agli agi e ai privilegi che la posizione del coniuge le assicura, lui sposato a una donna bella ma dal carattere incostante, sempre in bilico fra passeggeri fremiti di gioia e una cupa depressione, non riesce a staccarsi dai figli di sette e cinque anni che adora.

Al prossimo mese, caro!” esclama lei baciandolo ardentemente sulla bocca, incurante di un gruppo di suore che la guardano scandalizzate.
Lui riceve il bacio, ne assapora il calore, ne accetta l’intensità e lo ricambia, poi si scosta dolcemente e risponde: “No, amore mio, dobbiamo saltare, cade la Pasqua e le nostre famiglie ci reclamano
Lei ha un gesto di stizza della lunga mano affusolata e una smorfia affiora infrangendo la linea delle labbra perfettamente conformate. “Ah, voi mariti, mai dimenticate le ricorrenze e le festività, neanche per la più tenera amante! Sai a volte mi deludi col tuo perbenismo” prorompe infastidita mentre sale in carrozza.
Lui non ribatte e china il capo, sconfitto. D’improvviso una raffica di vento gli solleva il cappello che mulinando rotola e cade su una rotaia proprio nel momento dell’arrivo di un convoglio. Una ruota lo schiaccia rendendolo irrecuperabile. E’forse il segno del Destino che il loro amore è giunto all’epilogo?

Lei abbassa il finestrino e, portandosi una mano alla bocca, sospira: “Oh, mio Dio…
Lui dall’alto della sua imponente statura si erge sulla punta dei piedi, le scosta delicatamente la mano e la bacia a lungo con il presentimento che forse quello è il loro ultimo bacio.
Lei, il viso chino su di lui, le mani strette sulle sue guance, consapevole che quelli sono i loro ultimi momenti di tenerezza, sente il flusso della felicità svanire dal suo cuore,quel cuore che ora non prova più passione e sentimento, ma soffre la dolorosa lacerazione del distacco forse definitivo.Con la sua mente lucida e razionale, riflette come nella vita tutto è effimero e niente è duraturo. E quasi a confermare tale riflessione, lo sguardo le cade sul tabellone elettronico dove legge l’ora di arrivo del suo treno a Trieste. Con le ciglia umide di lacrime, che ancora non si decidono a scendere, immagina il marito fermo con cipiglio severo ad attenderla alla stazione ed è invasa dallo scoramento della tediosa vita che l’aspetta. Desolata, stacca le mani dalle guance di lui e mormora: “Addio, addio, Fabrizio…
Lui ha un macigno al posto del cuore, e riesce appena a mormorare: “Non può finire così, ti amo Debora…
E il nome sussurrato della donna amata si spegne sovrastato dal rumore del treno in partenza.
Si accomiatano con un velo di tristezza negli occhi e le luci soffuse al neon della stazione sottolineano con il loro fioco pallore l’autentico smarrimento che alberga nel cuore degli amanti.


Luigi Guidi è nato nel 1940 e proprio ieri ha compiuto 80 anni. Impiegato in una ditta import-export ha trascorso 40 anni della sua vita in Jugoslavia. Nel 1990 ha pubblicato un romanzo, scritto quando aveva vent’anni. Successivamente si è dedicato ai racconti. Dal 1992 dirige il GDL della biblioteca Gallaratese, recensendo un romanzo al mese. In merito alla sua storia ci scrive questa nota “Il filo conduttore del racconto è il Vento”.
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