Passaggi Festival ha avuto l’onore di ospitare, in occasione della rassegna “Libri in Piazza”, Luigi Manconi: docente universitario di sociologia, senatore sino al 2018, giornalista (per Il Messaggero, il Corriere della Sera, Il Foglio; attualmente editorialista di La Stampa e de La Repubblica). Il nostro ospite presenta il suo ultimo libro “Poliziotto-Sessantotto. Violenza e democrazia” (Il Saggiatore) dialogando con Marino Sinibaldi, giornalista e saggista, già amico di vecchia data dello stesso Manconi col quale in passato ha pubblicato alcuni saggi sul movimento degli studenti sfociato nella contestazione giovanile di fine anni Sessanta del secolo scorso.
Sinibaldi e Manconi
Manconi e Sinibaldi conversano come amici che si conoscono da cinquant’anni quali sono. Si parlano in maniera fraterna prima di salire sul palco, Sinibaldi guarda con profonda ammirazione quell’uomo che ha combattuto e continua a combattere strenuamente per i diritti “Dei messi a tacere, delle vittime, di coloro che non ci sono più ma che non per questo non possono non avere diritto a pretendere giustizia”, come ha sempre detto Manconi. Quest’ultimo ha qualche acciacco ma non per questo risulta meno privo di energia, al contrario: la cecità che lo accompagna dal 2007, prima in forma graduale ed ormai totale, risulta essere quasi come un’ulteriore testimonianza tangibile del sacrificio cui quest’uomo si è sempre sottoposto, in favore di chi legittimamente pretendeva giustizia e, in certi casi, quasi era sul punto di rinunciarvi.
Il caso Pinelli
Parlando del suo libro Manconi si vede costretto ad effettuare un’analisi di quegli eventi che lo hanno avvicinato al mondo della politica e dei diritti civili. La vita dell’autore è cambiata il 15 dicembre 1969, a 21 anni, quando la mattina, leggendo il Corriere della Sera, scoprì che Giuseppe Pinelli era misteriosamente precipitato dal quarto piano della questura di Milano dopo essere stato dichiarato come uno dei principali indagati della strage di Piazza Fontana. Manconi si appassionò “drammaticamente” a questo evento. In particolare sentiva un fervore muoversi all’interno delle sue viscere, cercando disperatamente di farsi strada ed uscire all’esterno per dar voce (e farla sentire a tutti) ai famigliari delle vittime. L’intento di Manconi era semplice da comprendere quanto complesso da realizzare: permettere che oltre al fatto oggettivo l’opinione pubblica potesse prendere contezza anche delle biografie dei morti, delle loro relazioni famigliari e sociali. Dar luogo a vicende di vita oltre che di morte. Questa, per l’autore, è l’unica strada per permettere a chi ha patito ingiustizie di poter richiedere verità. I lettori dei giornali, gli ascoltatori di radio e televisione devono avere il diritto di poter conoscere quelle ombre che troppo spesso venivano (o vengono?) accantonate in un angolo nascosto della stanza in favore delle luci che tanto comodamente sembrano, a volte, dimostrare l’esatto contrario.
La concitazione nelle parole
Mentre parla Manconi ha gli occhi chiusi ma ciò non sembra essere causa di una malattia che lo affligge: se qualcuno non lo conoscesse e passasse di lì per caso penserebbe di certo allo sforzo di un intellettuale di imprimere quanta più potenza possibile ad un vocabolo raffinato ma non desueto, ricercato con minuziosa cura ed incredibile fatica mentale. Dopotutto, è esattamente quello che l’autore fa. Sinibaldi è seduto a fianco di Manconi, sulla stessa panca, nonostante ce ne sia una completamente libera a nemmeno un metro di distanza da loro. A volte Sinibaldi gli avvicina delicatamente la mano che tiene stretta il microfono alla bocca perché l’autore, preso dalla concitazione, sbraccia e la voce si allontana troppo dall’apparecchio, sfumando nella calda serata di fine giugno. Il pubblico tace poi si anima quando Manconi conclude i suoi discorsi come fossero sentenze.
La caparbietà delle donne famigliari nel caso Cucchi e Regeni
L’autore ha trattato, nel corso della sua vita, numerose cause in materia di diritti civili. Proprio per questa ragione è stato Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, con incarico nel 2013. Un uomo della sua esperienza ha dunque preso in carico, tra gli altri, anche casi che hanno suscitato importante sconcerto pubblico come il “Caso Cucchi” dal 2009 ed il “Caso Regeni” dal 2016. Se c’è un aspetto che ha sempre mosso Manconi, oltre all’instancabile ricerca della giustizia come motivo d’esistenza, è stata la forza di volontà e l’assidua caparbietà delle donne famigliari delle vittime verso la ricerca della verità, a tutti i costi. Riguardo a ciò, in riferimento al Caso Cucchi, fu col consenso e la tenacia della madre e della sorella di Stefano Cucchi che vennero mostrate in magistratura prima delle fotografie di Stefano felice, mentre si allena streanuamente a pugilato in palestra, che dimostrano la contraddittorietà rispetto alla figura da tossicodipendente senza speranze cui inizialmente i media volevano spacciarlo, e poi fotografie di Cucchi sul tavolo dell’obitorio, con gli evidenti segni delle violenze che aveva subìto dalle autorità. Manconi vede le foto dopo aver conosciuto la famiglia di Cucchi e ne rimane molto colpito come poi sarà tutta l’opinione pubblica. Queste prove saranno fondamentali nel successivo processo, conclusosi con la condanna in via definitiva, per omicidio preterintenzionale, dei carabinieri che avevano abusato del loro potere. Similmente al Caso Cucchi anche in quello di Regeni la madre di Giulio, Paola, in una conferenza stampa che Manconi era riuscito ad ottenere in Senato, descrisse la pratica e la materialità della tortura subìta dal figlio dandone poi una definizione generale. Quando i genitori videro per la prima volta il cadavere di Giulio Regeni lo riconobbero solo per la punta del naso, il resto del viso era tumefatto e deformato. Sul volto del figlio hanno visto tutto il male del mondo: penetrando a fondo nello spirito e nel corpo, riducendoli a mera sofferenza, la tortura si rivela solo dolore. La forza di volontà, dunque, di permettere al lutto di fuoriuscire, di essere dato in pasto al pericoloso animale che è l’opinione pubblica pur di trovare giustizia quando gli ingranaggi delle istituzioni non lavorano come dovrebbero, è questo il combustibile inesauribile che spinge Manconi a perseguire la chimera di un ordinamento giuridico che regoli e prevenga situazioni lesive di diritti civili di questo tipo, non solo nei confronti di coloro che restano a piangere le vittime ma anche verso i caduti stessi. Questi esempi potrebbero essere utilizzati anche per casi come quello di Federico Aldrovandi, ucciso nel 2005 durante un controllo di polizia, oppure, ancora, di Giuseppe Pinelli, altro caso ove questa volta Licia Pinelli, sua moglie, sin da subito si impose nel tentativo di impedire che la storia di suo marito finisse nell’oblio, forzando le istituzioni a guardare in faccia la tragedia, rendendo partecipe l’intera scena pubblica e politica. Tutti casi di cui Manconi si è occupato personalmente, prendendo diretto contatto con i familiari delle vittime sin dai primi istanti della tragedia.
Gli ingranaggi del sistema
È indispensabile che le istituzioni facciano il loro mestiere. Nonostante gran parte della militanza di Manconi si svolse fuori dalle istituzioni, egli continua a mantenere fede in quelle come necessità ineludibile volta al loro stesso corretto funzionamento. Sono le istituzioni, infatti, che hanno la facoltà politica e giuridica di poter cambiare l’assetto della società ma è la società che deve voler cambiare in primis.
Premio Passaggi 2024
Manconi, di fatto, ha parlato più della sua vita e delle sue idee politiche che del libro in sé ma al pubblico, questo, non sembra dispiacere affatto. Applausi scroscianti accompagnano l’autore mentre, sorridendo, si alza dalla panca ed alza le braccia in segno di saluto. L’autore si vede quindi assegnatario, in quest’occasione, del Premio Passaggi 2024, col Vicesindaco di Fano Loretta Manocchi e Fernando dalla Chiesa, Presidente comitato scientifico Passaggi Festival, che celebrano gli onori.