Nell’atmosfera raccolta e suggestiva del Chiostro delle Benedettine, il professore Mauro Bonazzi presenta il suo libro “Dubito ergo sum”, edito da Solferino, nell’ambito della nuova rassegna “I sandali del filosofo” di Passaggi Festival 2022. Dialogando con il suo intervistatore, il filosofo e giornalista Armando Massarenti, l’autore dichiara fin da subito come ogni capitolo della sua opera abbia l’obiettivo di divulgare il piacere della filosofia e non di erudire i suoi lettori.

Platone: lupi e cani

Nell’antica Grecia i filosofi si distinguevano in filosofi, nel vero e proprio senso della parola ovvero coloro che si schieravano a favore della vera sapienza e della vera conoscenza (episteme) e in sofisti ovvero coloro che al contrario prediligevano le capacità persuasive e adulatorie della parola al sapere. L’antico filosofo Platone nelle sue opere per distinguerli gli uni dagli altri attinse ad un bestiario, definendo i filosofi “cani” e i sofisti “lupi”. I primi erano amici degli uomini, i secondi  nemici. Ad ogni modo, l’intento dell’autore Mauro Bonazzi non è quello di concentrarsi sulla posizione giusta o sbagliata dell’uno o dell’altro gruppo, ma piuttosto su come Socrate, che era un “cane”, sia stato scambiato e processato in qualità di “lupo”. È proprio su questo punto che verte il ragionamento filosofico di Platone, il quale ne “La Repubblica” attribuisce il termine “filosofia” ai “cani”, in quanto essi proteggono e difendono il gregge dalle minacce esterne. Tutt’altro è invece ciò che fanno i sofisti, primo fra tutti Trasimaco, acerrimo nemico di Socrate. Essi sono infatti “lupi” e non cercano né il bene né tantomeno la verità, ma perseguono unicamente il loro interesse personale. Dunque il dialogo platonico si incentra sulla ricerca della differenziazione pratica fra “cani” e “lupi”, poiché in realtà essi sono molto simili apparentemente, come ha dimostrato la condanna del suo maestro. Infatti, sia filosofi che sofisti usano le parole per convincere le persone. Pertanto lo spartiacque è veramente minimo, così impercettibile da mettere in crisi il grande filosofo Platone. Partendo dal presupposto che il logos è il tentativo di mettere ordine alla realtà per giungere alla verità, utilizzando il logos tutti i personaggi del dibattito pubblico si presenteranno sempre come “cani”, ma quand’è che nascondono un’indole da “lupi”?

Cusano, il dotto ignorante.

Nel capitolo “Il dotto ignorante”, l’autore riprendendo il filosofo Niccolò Cusano, evidenzia tale paradosso: più un individuo è neofita in un certo campo, più farà scalpore. Questo fenomeno è stato definito in epoca contemporanea effetto Dunning-Kruger, dal nome dei due psicologi che per primi lo individuarono. Essi partirono da un fatto di cronaca: due ladri, assoluti neofiti in questo ambito, nel rapinare una banca guardavano la telecamera senza nascondere il proprio volto e questo perché pensavano di essere invisibili. Da ciò si evince che meno si conosce e più ogni cosa appare semplice e facile da realizzare. Questo è proprio quello che condannava Socrate ovvero che alcuni individui nonostante non abbiano una conoscenza particolarmente sviluppata, ritengono di essere molto colti, mentre altri effettivamente sapienti sono consapevoli del fatto che la loro cultura è solo un granello di sabbia rispetto a un deserto sterminato. Ecco quindi il paradosso: per sapere di non sapere bisogna avere un sapere abbastanza sviluppato. Questa riflessione diviene ancora più critica se associata ad un altro schema mentale, secondo cui gli uomini ragionano per contrapposizioni fra conoscenza e ignoranza e fra verità e falso. Tuttavia, sulla base di ciò, si potrebbe arrivare a rivalutare i sofisti. Infatti, essendo pochissime le persone veramente dotate di conoscenza, se non addirittura neanche una, significa che nessuno sa, nessuno conosce la verità assoluta. Da ciò si originano il rigetto e la  sfiducia nella conoscenza. Per evitare questo effetto collaterale, l’umanità dovrebbe imparare a non basarsi su certezze, ma a muoversi nello spazio grigio che si trova fra le verità procedendo per dubbi, ipotesi e opinioni. Ma, le opinioni non valgono tutte allo stesso modo, la validità di ognuna di esse dipende unicamente dalle ragioni e dalle conoscenze su cui si fonda. Infine, il professor Bonazzi conclude sostenendo che il dilemma della conoscenza è in realtà la ragione di esistenza della filosofia dal momento che è essa stessa il desiderio di sapere a partire dal fatto che non si possono conoscere verità assolute. Tutto ciò può essere riassunto nel pensiero del filosofo Karl Popper, il quale sosteneva che la conoscenza fosse come una spiaggia; tanto più si illumina la spiaggia, tanto più si scopre il mare buio intorno all’isola.

Nobili bugie

Karl Popper sostiene che Platone non abbia fiducia nella persone tanto che le deve imprigionare in una società tribale in cui tutti gli individui sono trattati come infanti, non in grado di comprendere la realtà che li circonda e che, per questo, devono essere controllati e comandati. Inoltre, il filosofo austriaco reputa irragionevole l’idea che una comunità debba esser divisa in classi sociali, considerandola così una di quelle nobili bugie che i governanti ripetono per poter tenere sotto controllo il popolo. Ma l’ossimoro (nobili bugie) si spiega solamente osservando tutti i dettagli della vita di Platone. Egli infatti era un aristocratico destinato a una vita di potere e successo, ma decide di rinnegare il suo brillante futuro e seguire un uomo che camminava per le strade con sandali logori e che viene, per giunta, ucciso. Dunque non gli rimane che domandare a se stesso come fosse mai stato possibile che venisse ucciso un filosofo. A ciò trova risposta grazie alle nobili bugie. Se un individuo sceglie di entrare e vivere nella caverna platonica, parabola del mondo, ne deve parlare il linguaggio, perché altrimenti nessuno sarà in grado di comprendere i suoi ragionamenti. Al contrario, se si desidera essere un filosofo vero e proprio, è indispensabile rimanere fuori dalla caverna. Socrate aveva deciso di essere un filosofo all’interno della caverna e per questo nessuno riusciva a comprendere le sue parole. Ma qual è il limite delle nobili bugie? Fra quello che è possibile dire e quello che non lo è? La risposta risiede nella filosofia di Gorgia il quale ritiene che la parola sia un farmakos, a volte veleno, a volte farmaco curativo.

Immanuel Kant, nostalgia

“Nostalgia” seppur sia una parola di origine greca, il cui significato è dolore del ritorno, non esisteva nell’antica lingua degli Elleni, ma venne inventata da un medico svizzero per descrivere la sofferenza che i soldati provavano a partire per la guerra. “Dolore del ritorno”. Cos’è il ritorno? Tornare a casa, tornare a essere a chi siamo. Noi chi siamo? Secondo alcuni filosofi, primo fra tutti Kant, esiste un nucleo interno agli uomini, indipendente dalla realtà circostante. Per altri invece da Eraclito a Hume l’io interiore è il risultato delle nostre esperienze, dei luoghi e delle persone che frequentiamo. Da ciò la cruciale domanda socratica, come dobbiamo vivere? Il bene e il male si acquisiscono o sono innati? Nel corso dei secoli la filosofia è giunta a questa precaria conclusione: che cosa sia bene o sia giusto fare nessun essere umano lo sa, ma che cosa sia sbagliato o non si debba fare è insito in ogni uomo. Socrate risponderebbe alla domanda affermando che esiste un minimo di conoscenza dentro gli umani che non rivela cosa fare, ma cosa non fare.

Prometeo, il problema della tecnica

Il professor Mauro Bonazzi racconta il famosissimo mito di Prometeo secondo la versione riportata da Platone. Prometeo, il cui nome in greco antico significa letteralmente “colui che capisce prima”, aveva il compito di attribuire le varie proprietà fisiche e intellettive a tutti gli esseri viventi prima che questi giungessero sulla Terra. Tuttavia, egli affidò il lavoro a suo fratello Epimeteo (“colui che capisce dopo”), il quale pur avendo svolto egregiamente la sua mansione con tutti gli animali, si dimenticò dell’uomo. L’essere umano era quindi inerme in una natura al contrario dotata di peculiari proprietà per la sopravvivenza e rischiò pertanto di estinguersi. Allora intervenne nuovamente Prometeo donando all’uomo il fuoco, ovvero la sapienza tecnica. Nonostante ciò, gli uomini continuavano ad uccidersi fra loro. Questo obbligò Zeus ad intervenire, il quale incaricò Ermes di distribuire la giustizia in maniera equa ad ognuno di loro. Da questo mito emerge come la tecnica possa condurre l’uomo ovunque, ma, allo stesso tempo, come questa non sia sufficiente. Sono necessarie la politica e la legge al fine di regolare i rapporti sociali perché la scienza non potrà mai rivelare nulla su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

 

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