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di Michele Bartolucci

 

“Allora ragazzi, è tutto chiaro?”
“Si prof”
“Certamente prof”
“Per me non proprio prof…ma poi ci riguardo, non si preoccupi!”
“Va bene, allora vi saluto tutti, grazie per l’attenzione.Non era esattamente un argomento facilissimo.Ci vediamo lunedì”
“Va bene prof”
“Buongiorno prof”
“Arrivederci prof”
“Buona serata prof”

Lo schermo si spegne, quel viso un po’ stanco segnato da anni di insegnamento, con una folta barba che si è ormai tinta di grigio e le rughe che facevano capolino da dietro gli occhiali tondi, non c’è più. E con esso, anche i visi certamente più vivaci e distratti dei compagni di classe, con i quali ormai gli unici contatti sono tramite messaggi WhatsApp e videolezioni.
“Finalmente è venerdì!” Esclama Mattia, sorridendo e stiracchiandosi le mani verso l’alto, intrecciate assieme in un pugno quasi a dire “Ce l’ho fatta, anche questa settimana è andata!”
“Hai finito la videolezione Matti?”
“Si mamma”
“Come è andata? Il prof vi ha spiegato il Teorema di…il Teorema di… sì quello lì insomma!”
“Il Teorema di Pitagora? Si mamma. L’ho capito bene. Però il prof mi è apparso un po’ stanco, penso che questa situazione lo abbia messo in pensiero. Non è abituato alle nuove tecnologie, lui ci mette tanta buona volontà ma si vede che è a disagio!”
“E’ una brava persona il prof., molto capace. Pensa che ha insegnato anche a me. Ormai è molto vicino alla pensione, immagino che debba essere difficile adattarsi a un nuovo metodo di insegnamento; voi cercate di studiare e comportarvi bene e sicuramente per lui sarà più facile!”
“Certo mamma” esclama Mattia distrattamente con l’aria di chi sta già pensando ad altro. Si alza dal tavolo, chiude il pc e si avvia veloce verso la sua camera.

Mattia è un ragazzo vivace, il suo fisico esile non gli ha impedito di essere un ottimo atleta; è lui che rincuora e sostiene sempre i compagni quando giocano le partite di calcio nel campionato giovanile. I suoi capelli rossi e lisci lo fanno risaltare in mezzo agli altri, il suo carattere si è formato fin da quando ha perso il padre all’età di 7 anni. Ora che ne ha 12, è più maturo della sua età. La scuola gli piace, ma la matematica proprio non la digerisce (“preferirei fare 10 giri di campo che le espressioni!” ogni tanto pensa tra sé e sé).
La mamma lo guarda sempre con occhio attento, severa e dolce; la sua vita è cambiata in quel giorno in cui il ghiaccio e la nebbia portarono fuori strada il camion guidato dal padre di Mattia, suo marito…e con esso anche la sua vita. La vita da operaia le era lieve poiché aveva avuto dalla vita tutto ciò che desiderava: un lavoro dignitoso e soprattutto un marito e un figlio che amava. Da quel giorno un peso insostenibile le gravava sul cuore, un peso che negli anni andava via via alleviandosi poiché vedeva che suo figlio stava crescendo in un ometto generoso e responsabile… nonostante le marachelle tipiche della sua età!

“Mamma, io vado!”
“E dove vai? Non vedi che si fa sera?”
“Si, ma sono stanco dopo la lezione di matematica, ho voglia di camminare un po’. Voglio andare a raccogliere un po’ di asparagi così stasera ci facciamo una bella frittata! Il nonno sarebbe felice, mi diceva sempre di andare a cercare gli asparagi come faceva lui, non vorrai che io lo deluda!” Esclama Mattia con un sorrisetto furbo mentre già sta allacciando gli scarponi e prendendo lo zaino.
“Va bene, ma fai presto e porta Scheggia con te!”
“Certamente!”
“Dai Scheggia, alzati, andiamo! Ci facciamo una bella passeggiata!”

Da una palla bianca di peli rannicchiata sopra un cuscino spuntano due occhioni blu pigri, tipici di chi ha appena mangiato e non si alzerebbe dal proprio giaciglio neppure se gli mettessero davanti il boccone più prelibato mai annusato.
“Dai Scheggia, forza, che aspetti? Vuoi forse che ti porti in braccio?”
Ma quell’ammasso di peli, in cui a malapena si distinguono le zampe e la coda, non ne vuole proprio sapere. Anzi, uno sbadiglio improvviso, che sembra non termini mai, convince Mattia che non è proprio il caso.
“Peggio per te, stai lì a dormire, tra un po’ diventerai una palla di ciccia” afferma Mattia con cruccio. “Ho proprio sbagliato a chiamarti Scheggia, avrei dovuto chiamarti Pigrone!”
“Mamma, Scheggia non ne vuole sapere! Io vadooo!” Mentre pronuncia queste parole, Mattia già sta varcando la soglia di casa con slancio felino.

La mamma si affaccia alla finestra: “Mi raccomando, tra un’oretta è pronto, torna presto anche perché tra poco è il tramonto!”. “Certo mamma, stai tranquilla!” afferma Mattia mentre esce dal cancelletto con passo veloce.
Davanti a Mattia improvvisamente si apre un mondo. Il Sole del tardo pomeriggio gli accarezza il viso, la valle lo accoglie con i suoi colori e i suoi profumi, specchio di una primavera già nel vivo; una valle che mette in mostra gli albicocchi e i gigli in fiore, i fiori gialli delle ginestre, il profumo dei pini, la maestosità dei pioppi e le lunghe trecce dei salici, i denti di leone che aspettano solo di cadere soffiati dal vento. Una brezza di scirocco lo accompagna soavemente.
I campi sono in pieno splendore: la colza forma letti morbidi di fiori giallo brillante, l’orzo è ormai spigato ma ancora verde, i girasoli in crescita fanno presagire lo spettacolo di fioritura che sarebbe arrivato da lì a un mese; in lontananza si odono i vocii dei vignaioli che stanno sistemando le viti ormai coperte da un vestito di ampie foglie verdi e ove i primi timidi grappoli acerbi iniziano a spuntare.

Ma non è l’ampia e attraente valle che aspetta Mattia, bensì una piccola strada imbrecciata che sale stretta e ripida lungo i fianchi della collina proprio dietro la sua piccola casa. La collina è molto alta ma Mattia sa che in cima potrà trovare un vasto bosco dove “lì ci fanno sempre gli asparagi, ricordatelo” diceva il nonno.
Mattia inizia a camminare di buona lena. La fatica non lo spaventa. La strada all’inizio si impenna, passa attraverso le due piccole vigne centenarie del vicino Peppe, poi si perde tra i campi scoscesi e abbandonati della collina, ormai preda di rovi e ginestre. Già di lì la Natura lo avvolge in tutta la sua magnificenza: le voci dei vignaioli non si odono più, la casa è fuori vista e lo accompagnano i cinguettii delle cinciallegre e dei pettirossi e l’intenso verso delle poiane in cielo. La strada passa in un abbraccio di fronde di roverelle, ciliegi selvatici, carpini, ornielli, olmi; la biodiversità è tanta e sublime, il verde la fa da padrone ed è interrotto solo dal bianco della strada e dall’azzurro del cielo solcato di tanto in tanto da alte nubi velate, un azzurro che gradatamente sta virando verso il blu con l’avvento imminente del tramonto

A un certo punto, quando la strada presenta una stretta curva prima dell’ultima salita, un ciuffo bianco fa capolino da un cespuglio di rosa canina: al sentire i passi di Mattia, il ciuffo si muove e la coda a cui appartiene, con tutto il resto del corpo, attraversa prontamente la strada e fugge spaventato nel bosco.
“Toh, un capriolo! Che bellino, deve essere giovane!” Pensa tra sé e sé Mattia, ormai stanco per la salita ma ardentemente desideroso di arrivare in cima ove, come sa bene, lo aspetta il casolare di Tintìn e una strada finalmente pianeggiante.

Il casolare di Tintìn lo accoglie con le spesse mura di pietra ormai in rovina mentre le travi in legno che sostenevano il tetto si distendono tarlate a terra e con esse i coppi rotti in tanti piccoli pezzi; all’esterno, un vecchio forno a legna in muratura, pieno di polvere e ragnatele, fa da perfetto corredo al resto della casa.
Era un tipo particolare Tintìn (che poi quale fosse il suo vero nome chi se lo ricorda più!), il nonno lo conosceva bene; aveva vissuto in solitudine con le sue mucche conducendo una vita molto sobria per non dire…povera. Tintìn amava la lettura, leggeva Bertrand Russel e scriveva poesie. Quando scendeva a valle, quelle poche volte, faceva il giro delle case della vallata e tutti lo accoglievano con gioia e gli offrivano da bere. E lui si divertiva a parlare delle sue storie, un po’ vere e un po’ inventate. E ogni tanto tirava fuori dalla saccoccia un pezzo di carta piegato, lo svolgeva, indossava gli occhialini e leggeva la sua poesia.
Ma aveva anche un bel carattere, Tintìn! Piccolo di statura, coi baffetti, un giorno stese con un pugno un tizio che si vantava che “io sto bene in salute, ho una bella casa e un bel gruzzolo, mica come te che vivi con le vacche in quel monte!”. Ma dopo quella volta non lo disse più.

Mattia passa accanto al casolare diroccato, con un pensiero a Tintìn che “mi guarda da lassù con il babbo”.
Finalmente la strada spiana, percorre per un po’ il crinale della collina da cui si può godere di una visuale invidiabile; la valle, laggiù in fondo, sembra così lontana, e con essa le strade e le sparute case.
Dopo una cinquantina di metri, a destra si apre una vigna abbandonata da tempo che degrada repentinamente nel versante sottostante, e fa da coronamento a una estesa e impenetrabile pineta. Ma è la sinistra che interessa Mattia: un bosco fitto di querce dove “lì gli asparagi ci fanno sempre” diceva il nonno. E quando ormai il Sole quasi al tramonto allunga le ombre delle piante, Mattia si accinge ad entrare nel bosco di querce.

“Ormai è tardi, non faccio più in tempo a fare il giro, devo andare diritto al luogo segreto” pensa il giovane stanco ma desideroso di portare a termine ciò che si era prefissato.
Il luogo segreto è il posto in cui andava sempre col nonno quando era piccino, e lì certamente troverebbe asparagi ed è sicuro che nessuno li abbia raccolti poiché è proprio nel profondo del bosco!
Il sentiero nel bosco è sconnesso; prosegue in discesa in mezzo a vigorose querce cinquantenarie, ma anche tra piante di pungitopo, sassi che rotolano sotto i piedi e rendono instabile il cammino, rami secchi che intralciano e rovi che ogni tanto trattengono il ragazzo attaccandosi alla sua maglietta marrone; la flebile luce solare di un giorno giunto quasi al termine, passa appena tra le fronde e rischiara di poco la via. Mattia sa che deve fare presto, entro mezz’ora vorrebbe essere tornato alla casa di Tintìn in modo da non farsi sorprendere nel bosco di notte perché “il bosco è pericoloso la notte, non puoi mai sapere cosa e chi incontri” diceva sempre il nonno

Dopo dieci minuti di discesa giunge all’ambita meta: un pianoro che risalta nel versante ripido e boscoso, in cui le piante di asparagi formano un letto compatto di colore verde tenue e in cui “bene, ancora non c’è venuto nessuno qua!” esclama soddisfatto Mattia. Si ferma e apre immediatamente lo zaino, inizia a cogliere i preziosi germogli e nel giro di pochi minuti lo zaino è pieno.
“La mamma sarà orgogliosa di me” pensa il baldo giovane “ma adesso devo tornare a casa, il Sole è appena tramontato, ho solo mezz’ora di luce e la casa è molto lontana”
Nel mentre sta pensando a queste cose, e anche sta pensando se sia meglio tornare a casa passando per il casolare abbandonato di Tintìn o tagliando per il fitto bosco (certamente una strada più breve e rapida, ma anche più pericolosa se percorsa di notte), si accorge che gli uccellini non cantano più.
Nel profondo del bosco, con le ombre che ormai sovrastano i residui di luce, tutto tace in uno strano silenzio. Persino il venticello di Scirocco è cessato e le foglie sono immobili, a rendere più oppressivo quello strano silenzio. Però qualcosa è cambiato anche negli odori: i profumi del bosco sono nascosti da un odore di selvatico che diventa via via sempre più pungente e penetrante, odore che di lì a poco invade il piccolo pianoro.

Ai margini del pianoro, dietro un grande cespuglio di scotano, il silenzio è rotto da alcuni passi che calpestano le foglie secche cadute lo scorso autunno. I passi sono lenti, alternati, più leggeri e più pesanti, come se colui che li sta facendo abbia un peso diverso ad ogni passo. I passi si avvicinano, e Mattia resta immobile col fiato sospeso; ha notato che qualcosa sta accadendo, qualcosa di cui non ha ancora consapevolezza. L’istinto gli suggerisce di non andare a vedere, e neppure di mettersi a fuggire. Ora riesce ad udire anche un respiro affannoso, quasi un brontolio: colui che ha provocato e poi rotto il silenzio sta per affacciarsi da dietro il cespuglio di scotano. Si affaccia.

Quello che appare è una testa possente irta di un folto pelo grigio-marrone, con occhi neri, intensi e penetranti, che si accompagna ad un corpo vigoroso e slanciato, e una coda che è indecisa se muoversi verso il basso o verso l’alto; questa fa da coronamento a un siffatto magnifico ma inquietante animale.
Gli sguardi si incrociano sorpresi, entrambi sono ora fermi, il silenzio avvolge il tutto.
“Un lupo…un lupo…un lupo enorme…” pensa Mattia mentre trattiene il respiro. Mattia non si può muovere. Un po’ perché non riesce, paralizzato dalla sorpresa e dalla paura, un po’ perché non vuole. “Se mai ti capita di incontrare un lupo, non fuggire! Lui è più veloce di te, se scappi ti scambierà per una preda e ti inseguirà! Non dargli mai le spalle, non lo perdere di vista e arretra pian piano. E ricorda che se hai un lupo di fronte, probabilmente ne hai un altro alle spalle!”. Le parole del nonno riecheggiano prepotentemente nella mente confusa di Mattia. Ma proprio non riesce a guardarsi alle spalle, impietrito e soggiogato da quel che ha di fronte, da quella bestia selvatica che “probabilmente non è riuscito a sfamarsi dei caprioli o cinghiali che si trovano nei boschi, e adesso sta cercando una preda più facile” pensa tra sé e sé. Poi un barlume di lucidità lo porta ad arretrare, senza mai perdere di vista il lupo che se ne sta lì immobile e lo fissa, fino ad appoggiare la schiena ad una piccola rientranza rocciosa, che si trova al limitare del pianoro. “Adesso sono coperto alle spalle” pensa Mattia “ma se mi attacca non mi posso difendere, non ho coltello, non ho bastone, non ho nulla!”.

I due si guardano con stati d’animo contrastanti: il giovane umano con timore ma lucidità, l’animale si trova di fronte a un essere che vede molto raramente e non sa se può costituire per lui un pericolo o una facile preda, non sa come può reagire. Il lupo tentenna.
Ma la fame toglie le inibizioni e fa passare oltre le incertezze.
L’espressione dell’animale cambia: il digrigno dei denti appuntiti e taglienti, che ora biancheggiano alla flebile luce del tramonto che ancora traspare dalle cime degli alberi, fa da preludio a un ringhio cupo e feroce e raggela il sangue di Mattia. Ora non c’è più situazione di stallo, ora c’è un animale che ha preso la sua decisione, è una questione di sopravvivenza, non può più aspettare, deve attaccare!

“Ci siamo” pensa il giovane, non rassegnato ma deciso a combattere con tutti i mezzi a disposizione.
E nel mentre il lupo si avvicina molto lentamente, pronto a fare un balzo in avanti, con un’espressione sempre più minacciosa ma ancora non del tutto convinto, il clima surreale che si è creato viene interrotto da un rumore esterno, dei piccoli passi veloci che si avvicinano e che si accompagnano a un abbaiare acuto e frequente.
Il lupo ode questi abbaìi, la sua espressione cambia, è meno minacciosa, i denti non si vedono più, il suo sguardo si volge verso il sentiero che scende dal casolare di Tintìn da dove i piccoli passi si fanno sempre più vicini. Mattia invece non si gira, ode i passi e gli abbaìi ma non perde di vista il suo possibile assalitore, ed è sempre in atteggiamento di difesa.
Ma la decisione è presa: ancora prima che colui che sta scendendo dal sentiero appaia nel pianoro, il magnifico e terribile animale con uno scatto deciso se ne va, e torna dal profondo del bosco da cui era apparso.

“Sono salvo…non ci posso credere” sospira debolmente Mattia mentre si lascia cadere a terra, esausto per la tensione accumulata e che ora sta improvvisamente scemando.
È solo allora che una piccola palla bianca in cui si intravedono appena le zampe e il musetto appare al limitare del pianoro: non abbaia più perché ha già capito che il pericolo è cessato ma si getta di slancio nelle braccia del suo padroncino pronto a rincuorarlo.
“Scheggia! Non ci posso credere…ma come mi hai trovato? E che coraggio hai avuto!” Esclama a gran voce Mattia mentre lunghe lacrime scendono dai suoi occhi chiusi e solcano il suo viso, a scaricare la grande tensione accumulata, lacrime leccate da quel cagnolino così indifeso che ha avuto un coraggio da leone pur di salvare il suo padroncino.
“Ma come ha fatto quel lupo ad avere paura di uno scricciolo come te…”. “Chissà, forse quel lupo non mi avrebbe attaccato, forse aveva paura anche lui, forse…forse…”

Ora un grande sorriso pervade il viso del ragazzo, mentre tiene in braccio il suo amico guardandolo dritto in quegli occhietti furbi che fino a un’ora prima gli erano apparsi così pigri e indolenti!
“Dai torniamo a casa, amico mio”.
Il giovane risale faticosamente il tortuoso sentiero che lo porta al casolare di Tintìn quando ormai le tenebre della notte hanno preso il sopravvento sui chiarori del giorno: da lì la strada di ritorno prosegue in discesa verso casa, un rifugio sicuro che qualche attimo prima aveva tanto desiderato; in cammino verso la mamma che lo attende preoccupata e trepidante.
Nel suo cammino, tra mille pensieri che affollano la mente, Mattia porta sulle spalle uno zaino pieno di asparagi, in braccio un amico, e nel cuore una storia da raccontare, una storia che non dimenticherà mai.

 


Michele Bartolucci vive in campagna vicino a Urbino. E’ un insegnante di matematica nella scuola secondaria di primo grado ed è anche agricoltore.
“Amo la Natura -ci racconta- la scienza, lo sport, l’insegnamento”.

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