È stato un incontro profondo ed emozionante quello con Yigal Leykin e il suo romanzo “Il concerto” (Besa Muci), che ieri, lunedì 20 giugno, ha aperto la rassegna Europa/Mediterrano, dedicata alla narrativa straniera. Il cielo notturno sulla Chiesa di San Francesco e Anna Lattanzi, critica letteraria e coordinatrice della Scuola Passaggi, con cui l’autore ha conversato, hanno contribuito a rendere ancora più suggestiva l’atmosfera.
Un concerto per unire
Anna Lattanzi descrive “Il concerto” come un libro fatto di sofferenza, dolore, memoria, ricordi e soprattutto di un gran desiderio di riscatto.
Nel 1962, in Israele, viene organizzato un concerto all’interno di un campo di accoglienza per gli stranieri. Qui giungono ebrei da tutto il mondo, alcuni sopravvissuti all’olocausto, altri arrivati dai Paesi arabi. Si vuole costruire un nuovo popolo attraverso iniziative di integrazione. E la musica è un elemento di unione perfetto, un linguaggio primordiale che permette di legare armoniosamente ritmi e suoni di provenienza diversa. Nel campo vive Isidor, un giovanissimo violista, che parteciperà al concerto. I suoi genitori avevano avuto un altro figlio prima di lui, un altro Isidor, morto ad Auschwitz all’età di 12 anni. Senza una reale consapevolezza, la madre e il padre sottopongono il ragazzo ad un processo di sostituzione del fratello, a partire dall’educazione alla musica.
Una memoria vera
Yigal Leykin, oggi medico, è nato a Leopoli, quando la città apparteneva all’Unione Sovietica. All’età di nove anni si è trasferito con i genitori in Polonia e in seguito in Israele. Ora vive in Italia, a Pordenone. In Israele l’autore ha vissuto in un campo di accoglienza, quello raccontato ne “Il concerto”.
L’idea di scrivere questo romanzo è nata qualche anno fa durante una visita in Israele: Yigal voleva mostrare alla moglie il luogo dove era cresciuto, ma non c’era più alcuna traccia del quartiere pieno di vita in cui era cresciuto, nemmeno una targa che lo ricordasse. Al suo posto, solo un muro e un’autostrada. La totale scomparsa della memoria lo ha colpito e spinto a raccontare la storia dei luoghi che lo avevano ospitato da bambino e delle persone incontrate.
Il personaggio di Isidor è ispirato a un giovane violinista rimasto orfano, che viveva con l’autore nel campo di accoglienza; la musica era la sua principale passione e occupazione perché la considerava un’occasione di riscatto dalla perdita della propria famiglia. Questo bambino, nella realtà, è Shlomo Mintz, uno dei maggiori violinisti del nostro tempo.
Il Professore
Un’altra figura centrale del romanzo è il Professore di musica. Si tratta di un uomo enigmatico, silenzioso, estremamente addolorato, tanto da aver abbandonato la sua passione musicale. Il Professore troverà in Isidor una figura amica e fraterna, riuscirà a confidargli il proprio dolore, la propria esperienza e a tornare alla musica, come direttore d’orchestra per il concerto del campo. La confidenza che si crea tra l’uomo e il ragazzo dà modo al giovane allievo di scoprire l’olocausto, di cui nessuno, in famiglia, gli aveva mai parlato.
Anche il Professore è un personaggio reale, vissuto nel campo dove è cresciuto Yigal Leykin. Ed è proprio all’autore che ha raccontato la sua storia, cosicché questa non morisse con lui. Yigal l’ha custodita per anni, in attesa di imparare a scrivere libri (perché come lui stesso afferma “non è sufficiente avere una storia, bisogna saperla raccontare”), e ora l’ha condivisa con tutti noi.
La seconda generazione
Protagonista de “Il concerto”, insieme alla musica, è quella che Yigal Leykin definisce “la seconda generazione”. Oggi solo pochi tra coloro che hanno vissuto la tragedia della Shoah sono ancora in vita; è cresciuta però la seconda generazione, quella che ha conosciuto l’olocausto indirettamente, nella propria casa, dai racconti della propria famiglia. Negli anni ’50 Israele ha accolto i sopravvissuti quasi con rabbia, incapace inizialmente di comprendere l’impossibilità di ribellarsi. Ciò ha indotto un sentimento di vergogna in molti sopravvissuti, che per anni non sono riusciti a raccontare quello che avevano subìto. Pur in questo silenzio collettivo, la seconda generazione ha comunque compreso l’orrore sofferto dai propri genitori. Solo con il processo pubblico a Adolf Eichmann, negli anni ’60, si è avviato un percorso collettivo di conoscenza dell’Olocausto e delle forme di resistenza dei deportati.
Leopoli e la sua storia
Yigal Leykin è nato a Leopoli, una città che ha sempre amato.
Nel tempo, Leopoli è stata prima una città polacca e poi, fino alla Prima Guerra Mondiale, la capitale della Galizia. La sua architettura è austriaca e molti architetti italiani hanno collaborato alla sua costruzione. I tedeschi sentivano questa città talmente loro, per stile e cultura, che evitarono di bombardarla durante al Seconda Guerra Mondiale, nonostante fosse un importante snodo ferroviario. Successivamente Leopoli è entrata nell’Unione Sovietica e ora, dalla caduta dell’URSS, è una città ucraina. C’è tutta l’Europa, in questa città.
La stazione di Leopoli
Il posto più magico di Leopoli per lo scrittore è la stazione. Da qui, ancora bambino, partiva per le vacanze, alla scoperta del mondo; e ogni volta che rientrava, si sentiva un eroe, tornato per raccontare agli amici le sue avventure. A cinque anni ha preso un treno per andare per la prima volta al mare; a sette anni è partito per visitare la città natale della madre, nel Donbass. E sempre dalla stazione di Leopoli nel 1959 ha lasciato la città, per trasferirsi in Polonia e poi in Israele; senza sapere che non vi avrebbe fatto ritorno per un lungo tempo.
Yigal Leykin è tornato a Leopoli nel 2009, dopo 50 anni. Il primo luogo che ha voluto visitare è stata la stazione. L’ha trovata proprio come se la ricordava, con i saloni di marmo e la pensilina in acciaio. Oggi però la stazione di Leopoli non è più così. È stata uno dei primi luoghi bombardati dai russi nell’atroce conflitto che vede contrapporsi “due popoli fratelli”.