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di Kevin Cantarelli

 

Un giorno il sole non sorse. L’aurora mancò all’appuntamento, e la capitale rimase avvolta nella tenebra. Allo spaesamento iniziale seguì il panico. I popolani scendevano in strada, si raggruppavano, inondavano le viuzze della città bassa, fiume di formichine impaurite. I nobili, nelle sontuose dimore sulle colline, seguivano gli avvenimenti con apprensione e lesti spedivano la servitù a caccia di notizie. L’imperatore, dall’alto castello, contemplava terrorizzato la sua città dorata, che invece di acquisire colore restava nera come il demonio.
Messaggeri a cavallo giungevano dalle campagne: anche a oriente del sole non v’era traccia. Gli astronomi reali vennero convocati senza indugio: non seppero dare risposte. Eclissi non erano previste, altro non si conosceva. Tanto più che le stelle brillavano ancora indisturbate, gioielli sul corpo scuro della notte. Occorreva un intervento deciso per evitare il panico. Il sovrano fece chiamare a raccolta i dotti e li indirizzò alla piazza vecchia. Indossò poi un manto di porpora, montò il suo stallone bianco e scese incontro al popolo alla testa della guardia reale. La voce intanto correva fra il popolino. I saggi si sarebbero riuniti in centro, sotto al grande orologio astronomico, e avrebbero sicuramente trovato una soluzione. La soldatesca ebbe il suo bel daffare nel tenere sotto controllo la situazione. Bonarie rassicurazioni vennero diffuse ad arte per serbare una parvenza di ordine. Qualche uomo pio gridò alla fine del mondo: venne fatto ravvedere a suon di bastonate. La folla finì per radunarsi in piazza, dove alti fuochi erano stati accesi perché tutti potessero assistere. Quando questo grande palcoscenico fu raggiunto sia dagli attori che dal regista, lo spettacolo poté cominciare.

I primi a parlare furono gli astrologi di corte, che non si erano però saputi inventare nulla di nuovo. Prese allora la parola uno studioso del nord, noto per saggezza non meno che per stravaganza: “Signori” incominciò, “anche in questo buio posso distinguere le vostre facce turbate. Ma io vi dico che la spiegazione è chiara e semplice, e non c’è di che temere. Sta forse scritto da qualche parte che il sole segue delle regole? La nostra beneamata scienza ci ha saputo dimostrare che esso sorgerà ogni giorno, senza dubbio alcuno?? La risposta ovviamente è no. E perciò basterà aspettare. Domani magari, o fra un mese, o fra un anno, tornerà a farsi vedere. Oggi pare non sia giornata. Non lo si può biasimare, in fondo. Pensate voi di andare a lavorare ogni giorno, senza essere obbligati …”. “Guardie!” tuonò il sovrano, “Prendete quel fanfarone e sbattetelo nelle segrete! Non lo vedrà neanche se dovesse sorgere fra dieci anni il suo sole, garantisco io”. Il disgraziato venne portato via in un batter d’occhio, mentre i gendarmi a fatica zittivano la folla. Finalmente si poté andare avanti. Intervenne un vecchio gentiluomo, il cui amore per gli astri non era ignoto a nessuno. Un poco intimorito, ma sicuro di sé, cominciò il suo discorso. “Ai più dotti di voi forse non sfugge che oggi il sole sarebbe dovuto entrare nella costellazione della Bilancia. E la Bilancia da sempre simboleggia una cosa: equilibrio. Questa non può essere una coincidenza: qualcosa – o qualcuno – ha turbato l’ordine cosmico. Mi stupisce che gli astronomi di Sua Maestà non ci siano arrivati prima”. Parecchi sguardi velenosi piovvero su di lui all’istante. Eppure la sua intuizione non era malvagia. Il punto era: davvero era accaduto qualcosa di così abominevole da paralizzare una stella? Senza che nessuno se ne rendesse conto? I dotti presero a discutere con ferocia, mentre i cittadini congetturavano a loro volta. D’un colpo tutti parlavano; non l’avesse fatto nessuno, se ne sarebbe cavato fuori di più.

La confusione generale terminò solo grazie all’arrivo di ospiti inattesi. Mentre ognuno era ancora impegnato a dimostrare al vicino la bontà della propria teoria, il selciato delle vie circostanti risuonò sotto zoccoli al galoppo. Ci fu a malapena il tempo di aprire un varco fra la folla che due cavalieri piombarono nella piazza, turbine di pennacchi e armature scintillanti. Le magnifiche bestie che li portavano erano madide di sudore e schiumavano di fatica. Doveva essere stata una lunga corsa. L’emblema sui mantelli tradiva l’appartenenza al ventitreesimo cavalleggeri, accampato due leghe a nord. Giungeva con questi uomini una notizia sensazionale nella sua semplicità: presso l’accampamento era giorno. Nonostante la distanza fosse assai ridotta, il sole splendeva alto nel cielo. Galoppando verso la capitale in ricognizione, l’oscurità li aveva letteralmente sorpresi da un momento all’altro. Informati dai contadini della tragedia in atto si erano rilanciati verso la base, solo per ritrovarsi in un soleggiato mattino di fine estate. Nuovo cambio di direzione e corsa verso la città; notte fonda. Confusi e disorientati avevano finito per dirigersi verso la loro meta originale, ponendo questa bizzarria in cima al loro rapporto. Non era finita. A breve giunsero altri ricognitori da ogni punto cardinale, riferendo tutti la medesima notizia. Pareva che una cortina di tenebre, invisibile all’esterno, fosse calata sulla capitale e sul contado: fuori il tempo scorreva naturalmente, dentro si contavano le stelle a mezzodì.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il gentiluomo doveva essere nel giusto ora, per chiunque. Non solo l’ordine cosmico era stato alterato, ma era stato alterato dai cittadini. E la punizione non si era fatta attendere. Che fare? Trovare la pecca, e risolvere tutto il prima possibile. I suggerimenti grandinarono. Chi dava la colpa alla guerra, anche se l’ultima era finita da due decenni (troppo o troppo poco?); chi agli ubriachi e al consumo smodato di birra, quando fino alla sera prima s’attaccava devoto alla botte; chi alla licenziosità dei costumi, lamentando che in città non s’era più vista una vergine dai tempi della fondazione… solo sul governo nessuno aveva da ridire, poiché le segrete avevano fama d’essere assai poco ospitali. Il baccano divenne infernale. Senza un intervento dall’alto, si sarebbe probabilmente andati avanti tutto il giorno – se è lecito chiamarlo così.
Ristabilita una fragile quiete, il primo discorso veramente compiuto fu quello di uno studente dell’università locale. Egli sedeva fra i saggi in rappresentanza dei suoi colleghi, e parlò con una presunzione del tutto giovanile. “Lo so ben io qual è il problema. Da quando ha preso piede questa fola dell’occultismo siamo invasi da alchimisti, sedicenti fattucchieri e altri cialtroni di ogni sorta. Vogliono trasformare il ferro in metallo nobile, ditemi voi se non è far violenza alla natura! Pretendevano di partorire nuovo oro con la stregoneria, adesso per punizione non vedremo più brillare neanche quello vecchio! Io dico che è ora di finirla!”. L’appassionata orazione fu seguita da un silenzio carico di tensione. Il fatto era che la maggior parte dei suddetti cialtroni operava alle dirette dipendenze di Sua Maestà. Che tuttavia non replicò. Così deciso fino a quel momento, il sovrano appariva ora lacerato da un profondo conflitto interiore, e tardava a proferire parola. L’esitazione non passò inosservata, e molti presero coraggio. “Ben detto!” gridava qualcuno. “Giusto! Vergogna! Non se ne può più” sempre più voci si univano alla protesta formando un coro rabbioso, come nuvole solitarie che radunandosi minacciano tempesta.

Gli alchimisti presenti fra la folla si defilarono senza farsi pregare; i due o tre che sedevano fra i luminari si videro stretti in una morsa. Il linciaggio pareva inevitabile. Già con le dita si tastavano il collo (per controllare che vi fosse ancora attaccata la testa), quando finalmente l’imperatore parlò: concordava con lo studente. Alchimisti, stregoni, negromanti e chi più ne ha più ne metta vennero ufficialmente banditi. I loro strumenti furono confiscati, accatastati e dati alle fiamme. La pira venne posta fuori le mura, per evitare il propagarsi di incendi. Scelta non sciocca. Le sue dimensioni erano così spropositate che parve sostituire degnamente il sole, anche se per poco. Al termine di quel giorno mancato ognuno se ne andò a letto ancora turbato, pieno di speranza per l’indomani. Invano. (…)
Continua

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Kevin Cantarelli ha 25 annni ed è originario di Reggio Emilia. Laureato in Scienze Storiche all’Alma Mater di Bologna, lavora come insegnante di italiano a Praga, città da cui ha preso ispirazione per questo racconto.

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