Oggi, nella giornata conclusiva di Passaggi Festival 2024, Carlo Vecce, Accademico dei Lincei, ha presentato il suo nuovo libro “Leonardo, la vita. Il ragazzo di Vinci, l’uomo universale, l’errante” edito da Giunti, nell’nell’ambito della rassegna “Arte, una storia per tutti”. Durante l’incontro, l’autore ha avuto occasione di conversare con Marta Paraventi, storica dell’arte.
La vita di un artista in nuove prospettive: dalle origini
La grande novità del libro in oggetto è la capacità dell’autore di raccontare la biografia di Leonardo dalla prospettiva di un umanista, quale è Vecce, basandosi su testimonianze e documentazioni dell’epoca. Il consistente libro, diviso in tanti piccoli capitoli, ammonta a seicento pagine ed è munito di una bibliografia essenziale per un ulteriore approfondimento. Per chi si occupa di arte è difficile separarsi e superare l’immagine leonardesca tramandata da Vasari nelle “Vite”, dove si descrive la biografia di un genio, e approcciarsi a documenti dove si racconta che Leonardo ha avuto un’infanzia e una vita comuni. Ma questo è proprio il fulcro del libro presentato: saper filtrare la vita di Leonardo con occhi attenti, discernere il mito dalla realtà storica, interpretare i documenti e renderne conto al grande pubblico con semplicità senza mai banalizzare. L’ampio e suggestivo racconto inizia il 15 aprile 1452, quando il nonno di Leonardo trascrive agli atti la tanto agognata nascita del nipote. Della famiglia di Leonardo sapevamo discretamente poco, tanto è vero che l’autore inizialmente dedicò ad essa solo un breve capitolo; ma, pochi anni fa, avvenne una scoperta clamorosa. Furono rinvenuti dei documenti che illustravano la genealogia della madre di Leonardo, Caterina, figura ancora sconosciuta ai più. Caterina fu una donna di origine orientale, allontanata dalla sua casa e venduta più volte come schiava a Costantinopoli fino ad approdare a Firenze, dove ebbe una relazione con l’illustre notaio Da Vinci. L’autore si vide quindi piacevolmente costretto ad azzerare e ricominciare la prima parte della storia per rendere giustizia e fama a Caterina. Proprio da lei nacque il futuro genio Leonardo, che rimase sempre ignorato dal padre.
A bottega presso il Verrocchio: un ragazzo geniale
Proprio per allontanare il figlio dalla sua casa, il notaio da Vinci mandò il figlio illegittimo nella bottega di Andrea del Verrocchio, una delle più prestigiose di Firenze. Per Leonardo cominciò la svolta: il Verrocchio diventò quasi un secondo padre per il giovane pittore. Leonardo mostrò sin da subito segni di una grande intelligenza geniale; imparava velocemente le cose che vedeva semplicemente imitandole, come avvenne per la scrittura: quando vide il nonno scrivere su pergamena, il fanciullo provò a imitare quei gesti e, scoprendosi mancino, coniò, oltre alla scrittura canonica imparata, una lingua tutta sua: la scrittura speculare, che si legge da destra verso sinistra. Le giornate di lavoro presso il Verrocchio furono preziose e istruttive per Leonardo, ma nella sua giovinezza restò sempre l’ombra di essere, nonostante tutto, un figlio rifiutato dal padre: oggi infatti lo chiamiamo Leonardo Da Vinci, ma all’epoca Leonardo non poteva appropriarsi del cognome del padre e per questo visse con grande turbamento il doversi allontanare dalla sua città natale. Senza cognome e senza fama, Leonardo si sentì spiantato nel trasferirsi da Vinci a Firenze e per questo suo disorientamento commise spesso degli errori: ebbe debiti mai pagati, non si attenne alla scadenza prefissata per la consegna delle opere e venne persino processato per essere un sodomita.
Leonardo, genio della contraddizione
A venti anni, Leonardo si iscrisse nella corporazione dei pittori: a questo punto poté sia collaborare con il Verrocchio che assumersi le prime richieste di opere come artista autonomo. Seppur solo anagraficamente, Leonardo si avvicinò al mondo adulto; Vecce sostiene che per tutta la vita il genio si sia sempre sentito come un bambino: assorto in un mondo tutto suo, fatto di creatività e ingegno. Ma, se da un lato Leonardo era preso dalle sue idee geniali, dall’altro sentiva anche il peso del tempo che gli scivolava tra le mani: lui, che avrebbe voluto poter costruire tutto, non riuscì a fermare il tempo e per questo si dolse, come testimoniano le sue riflessioni su molti manoscritti, permeati da temi e sentimenti che lo rendono molto vicino ad autori moderni. Sentì l’ossessione del destino e del tempo troppo veloce, ma allo stesso tempo non mostrò alcuna fretta nel finire i suoi quadri, sebbene pressato dai suoi compratori. Sentì la necessità di raffigurare nelle sue opere la natura proprio come la concepiva, una perfetta armonia di mistero e trasformazione, ma si sentì limitato dalla tela. Venne pressato dai debitori, ma non fece nulla per accelerare il processo creativo: amò profondamente il processo che rende una bianca e anonima tela in una opera d’arte unica. E proprio in queste tele avrebbe voluto raffigurare il movimento e le macchinazioni naturali che vedeva nella natura e nella vita, ma, non potendo farlo, si limitò a lasciare parti delle opere incompiute, a simboleggiare il passaggio tra nulla e opera d’arte, tra la mortalità della tela spoglia alla vita e vivacità dell’opera completa.
I primi successi: la Vergine delle Rocce e il Cenacolo
Se Vecce sostiene che Leonardo per tutta l’infanzia e per il periodo fiorentino si sia sentito sempre bambino, successivamente, invece, ancora giovane, comprese la necessità di entrare nel mondo adulto: spinto da varie motivazioni, tra cui le pressioni dei creditori, partì per Milano. Pian piano, Leonardo si fece conoscere: era un uomo giovane – racconta l’autore – bello, biondo, vestito alla moda e pratico non solo di arte ma anche di musica e ingegneria. Nel 1482 si presentò ufficialmente alla corte, ma i primi anni furono difficili; Leonardo realizzò per una confraternita locale la Vergine delle Rocce, che fu oggetto di un successo straordinario. L’onda della fama investì il giovane Leonardo: il duca voleva l’opera per sé e, per non scontentare né l’una né l’altra parte, l’artista scelse di fare una copia della Vergine da donargli. Ormai conosciuto e celebre non solo all’interno della corte, Leonardo venne chiamato ad eseguire una delle sue opere più celebri: il Cenacolo di Santa Maria delle Grazie.
Un uomo dai molteplici interessi
Sull’onda della fama, Leonardo si approcciò a nuovi interessi: la curiosità fu la base della sua indole. Iniziò a studiare la scienza e si interessò a fondo di anatomia: cominciò a tenere dei veri e propri manoscritti dove appuntava e scriveva tutto ciò che gli interessa sapere, integrati con disegni fatti di suo pugno. Tutti questi manoscritti costituiscono oggi un grande corpus che sono i Codici leonardeschi. Oltre alla scienza, si inserì anche nel campo dell’ingegneria: sviluppò e progettò macchinari e prototipi sulla base delle teorie riportate sugli appunti; molte delle cose teorizzate da Leonardo sono oggigiorno comuni come aerei e paracaduti, ventilatori e calcolatrici, salvagenti e sommergibili. E ancora, Leonardo fu un ottimo scenografo: realizzò per la Corte degli spettacoli per i quali preparò anche scenari, fondali, macchine ed effetti speciali. Ci furono, racconta Vecce, relazioni di ambasciatori che presenziarono a spettacoli di Leonardo e ne furono estasiati. Non fermandosi a questo, Leonardo si rese presto conto di dover imparare il latino per ampliare le sue conoscenze e studiare i trattati: Vecce cita documenti secondo cui l’artista si comprò un piccolo tomo di grammatica latina di base e studiò il latino sui libri in lingua, tenendo uno specchietto delle declinazioni accanto alle parole. Appresa la notizia che il sultano dei turchi stava cercando un ingegnere militare, nel 1498 Leonardo gli spedì una lettera dove gli espose le sue idee a proposito di un ponte per collegare le varie zone di Costantinopoli e circa un possibile ponte per lo Stretto del Bosforo. A quanto però ne sappiamo, il sultano non rispose alla lettera.
“Leonardo, la vita”, il racconto di uno spirito libero
Durante un primo viaggio a Roma, Leonardo si confrontò con la classicità visitando la villa di Adriano a Tivoli e lì nacque l’idea per illustrare le teorie di Vitruvio, per lui tradotte in volgare da Francesco di Giorgio Martini. Secondo Vitruvio, le proporzioni perfette dell’uomo si riassumono perfettamente in un quadrato e in un cerchio: Leonardo fece proprio questo e disegnò il famoso Uomo Vitruviano. Stanco di Milano, Leonardo tornò a Firenze, quando ormai era già in circolazione Raffaello, con cui ebbe un cordiale rapporto, e Michelangelo, con cui fu, invece, in aperta competizione. La fama del Cenacolo si era diffusa e a Leonardo vengono assegnati tre incarichi importanti: la Sant’Anna, la Gioconda e la Battaglia di Anghiari, tutte e tre, più o meno vistosamente, non furono mai del tutto finite; proprio per questo, Leonardo si trasferì poi in Francia, portandosi i suoi averi più preziosi: le sue stesse opere. In questa parte del libro, Leonardo è definito da Vecce “errante”, parola che ha due significati: Leonardo erra, cioè viaggia spesso, ma erra, cioè sbaglia, altrettante volte. “Leonardo, la vita” è il racconto di un genio imperfetto, che tiene insieme dentro di sé innumerevoli contraddizioni. È, per citare l’autore, un “ragazzo di Vinci”, poi un “uomo universale” e poi è “errante”: Leonardo è uno spirito libero, incarna lo stupore primigenio per la meraviglia della natura e del mondo ed è un personaggio da favola: nato illegittimamente da una schiava, cercò la sua vera natura nell’arte e morì come l’artista più geniale che sia mai esistito.