Nella prima serata di Passaggi Festival, la giornalista Simonetta Fiori ha presentato il libro “La Biblioteca di Raskolnikov. Libri e idee per un’identità democratica” (Einaudi). Si tratta di una raccolta di scritti di otto intellettuali con un testo introduttivo redatto dalla stessa giornalista. A dialogare con lei, nella splendida cornice dell’ex Chiesa di Francesco, l’ ex direttore di Rai Radio 3 Marino Sinibaldi.
Perchè Raskolnikov?
Il titolo del libro rimanda al celebre romanzo “Delitto e Castigo” di Dostoevskij, ma prende le distanze da qualsiasi esaltazione della follia omicida attuata dal protagonista Raskolnikov.
Si concentra invece su un tema importante, ovvero la ricostruzione di un’identità democratica in un momento storico di forte fragilità come quello attuale. Spesso i libri rappresentano uno strumento di evasione dalla realtà, che traghetta verso l’onirico e permette di non pensare. Eppure la letteratura può anche diventare uno strumento per comprendere il mondo dentro e fuori di noi. In questo specifico caso diventa un’opportunità per arginare gli autoritarismi e coltivare una nuova coscienza democratica. Citare Raskolnikov assume senso perché la grande letteratura fa empatizzare con personaggi molto distanti, anche con assassini del suo calibro. Allo stesso modo la democrazia deve inoltrarsi nel terreno opaco del male e conoscerlo, perché solo così può neutralizzarlo.
La Demo-Ansia
Il libro nasce da un sentimento di inquietudine rispetto alla tenuta democratica che non interessa solo il nostro paese, ma l’Europa tutta. Si sta assistendo ad un avanzamento di “onde nere”, tanto che in Francia si è coniato il termine di “Demo-ansia” legata alla paura del popolo che vinca il fronte Le Pen.
L’idea editoriale per questa pubblicazione fu lanciata un anno fa, quando già l’impalcatura democratica sembrava scricchiolare. Dopo un anno si può affermare che il tempo del fervore democratico si è esaurito, a favore del connaturarsi del virus degli autoritarismi verso cui i libri rappresentano un potente vaccino.
Il romanzo come modello di democrazia
La democrazia cresce nel momento in cui accetta il dissenso, accogliendolo senza respingimenti. Ciò non accade per i populismi, i quali non tollerano pensieri diversi da quello dominante. Difatti la scarsa coscienza democratica si misura dal grado di intolleranza ad opinioni differenti. Allo stesso modo la letteratura, in particolare il romanzo, rappresenta un modello di democrazia in quanto è costruito in forma plurale accogliendo in sé il conflitto. Il romanzo è quindi polifonia poiché racconta diverse realtà, anche opposte tra loro. L’esempio per eccellenza è l’Ulisse di James Joyce dove ogni capitolo sembra una voce a sé stante. La forma stessa del romanzo immunizza da conformismi e pensieri unici, conducendo il lettore all’immedesimazione con il diverso e a pensare con altre teste. Anna Foa, una degli otto intellettuali che hanno partecipato alla scrittura di quest’opera, ha ribadito l’importanza del ruolo delle minoranze nella costruzione democratica, poiché se messe ai margini non c’è democrazia.
Anche il metodo scientifico contiene i principi democratici. Si basa infatti su delle ipotesi che possono essere smentite in qualsiasi momento. Lo scienziato deve quindi rimettersi continuamente in discussione, accogliendo il confronto. In questo c’è una lezione di democrazia.
La perdita di fiducia nella democrazia
Nel 1995 era stato pensato un progetto editoriale simile al libro protagonista dell’incontro. Venne chiesto ad intellettuali del calibro di Rodotà, Bobbio e Vattimo di creare una sorta di “scaffale democratico”. Anche allora era un momento di forte carenza per la democrazia tra la crisi dei partiti, Tangentopoli e l’inizio della carriera di Berlusconi. Questo progetto rappresentava quindi una risposta a un’inquietudine legata agli evento storici dell’epoca. Nell’edizione di trent’anni fa prevale però una maggior fiducia, un pensiero positivo sulla vittoria della democrazia. Oggi nel saggio permea una forte preoccupazione.
Il peggioramento della democrazia è dovuto al tradimento delle tante premesse e promesse fatte. Ciò contribuisce a far avanzare il malumore, che è terreno fertile per i populismi. Come ci ricorda il libro “Memorie dal sottosuolo” di Dostoevskij, spesso nell’azione degli uomini prevale l’irrazionalità. Allo stesso modo in realtà complesse, quali ad esempio le periferie, prevalgono i consensi ai vari populismi. L’istinto, che percepisce il tradimento della democrazia dovuto ad una forte crisi politica, conduce ad allearsi ad idee ben più autoritarie.
Tra piacevoli scoperte e dolorose assenze
Nell’opera vengono citati tantissimi libri, poiché è come se gli autori ricostruissero le opere che li hanno resi dei lettori. Rappresenta una piacevole scoperta anche per forti lettori. Simonetta Fiori temeva infatti che i vari intellettuali chiamati a scrivere di democrazia citassero tutti Gramsci e le sue “Lettere dal Carcere“. La giornalista ha infatti un legame con Gramsci, in quanto suo padre pubblicò una delle sue prime biografie. Eppure questo timore si è rivelato irreale, anzi Gramsci è stata una “dolorosissima assenza“.
Articolo 3: la base di un mondo democratico
I testi di Canfora, Schiavone e Cardini sono i più critici ed insidiosi dell’opera. In particolare Canfora sostiene che la democrazia non si realizza fino a quando non viene attuato l’Articolo 3 della Costituzione Italiana. Quest’ultimo afferma:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Il verbo “rimuovere” ha una forte potenza, soprattutto perché inserito in un testo asciutto quale quello della Costituzione. La lotta per far valere ed applicare questo articolo è il motore della storia. Ciò che più conta è il movimento per la realizzazione del fine e non il fine stesso. Come l’aneddoto del padre che dice ai figli che c’è un tesoro nascosto nel terreno, ma muore prima di rivelarne l’esatta posizione. I figli iniziano a scavare e non trovano nulla, ma il terreno diventa fertile. La vera ricchezza sta nella lotta, nel movimento per raggiungere un determinato scopo. Il lavoro democratico è faticosissimo, ma muovendo le zolle di terreno ovvero creando dialoghi e confronti si crea il vero tesoro democratico.
La difesa degli intellettuali
La democrazia difendeva i suoi scrittori ed intellettuali, poiché si nutriva delle loro critiche. Nicola La Gioia cita Sciascia, Calvino, Carlo Levi: tutti intellettuali che la democrazia eleggeva nel suo partito. Oggi il rapporto cultura-politica è stato interrotto ed è subentrata una insofferenza verso gli intellettuali, che porta alla loro demonizzazione ed esclusione. Ne sono esempi il caso Scurati o l’allontanamento di Sinibaldi dalle sue cariche precedenti nonostante la sua alta competenza. La politica attuale sta cercando di arginare il diverso a favore di un’omogenizzazione di pensiero. La democrazia rimane un un lavoro duro, che non può essere decidente ma deve essere dialogante e ciò sembra molto lontano dalle vicende politiche odierne.